martedì, Marzo 19, 2024
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“È l’ora della rabbia”, affermano gli studenti iraniani, che proseguono le loro proteste nonostante le repressioni

Ogni rivolta, ogni rivoluzione è caratterizzata da slogan popolari. brevi frasi, che riecheggiano tra la gente, e che riflettono il desiderio e l’obiettivo di una nazione nel più breve tempo possibile. Le grandi proteste in Iran, da molti definite una vera e propria rivoluzione, sono caratterizzate da slogan unici che riflettono la richiesta e la determinazione del popolo iraniano.

Lo scorso lunedì, gli studenti universitari di Teheran hanno gridato: “Non è il momento del dolore, è il momento della rabbia”.

Hanno lanciato questi slogan mentre le forze di sicurezza del regime attaccavano loro e altri studenti universitari che continuavano a manifestare nel 46° giorno di rivolta in Iran, dove finora oltre 450 iraniani sono stati uccisi dal regime.

In più, le proteste degli studenti universitari sono continuate anche il giorno dopo che Hossein Salami, il comandante delle Guardie Rivoluzionarie (IRGC), ha mostrato i denti, nel tentativo di intimorire il popolo e scongiurare nuove manifestazioni.

“Oggi è l’ultimo giorno di proteste”, le sue parole, mettendo inoltre in guardia i manifestanti di “non scendere in strada”, durante un comizio organizzato dallo Stato a Shiraz.

Salami ha anche fatto riferimento al ruolo dell’opposizione iraniana, il Mujahedin-e-Khalq (MEK), e al suo impatto sulla società iraniana. “Cari studenti universitari, ascoltate, non possiamo tollerare azioni alimentate dall’esterno [del regime]. Volete raggiungere il potere con gli ipocriti criminali [MEK] che hanno tradito questa nazione? Aprite gli occhi e state dalla parte del [regime]”, ha detto apertamente.

Le minacce di Salami sono state accompagnate da massicci arresti di studenti in molte università e violenze da parte di sgherri del regime che si sono presentati come professori o studenti e hanno attaccato studenti disarmati.

Nonostante i ripetuti atti di violenza, la teocrazia iraniana non è riuscita a soffocare la società in rivolta e le proteste continuano a scoppiare in tutto l’Iran. I coraggiosi studenti universitari, che hanno fatto da apripista a questa rivolta, si sono scontrati con le forze di sicurezza in decine di Università. Hanno sfidato il regime clericale scandendo slogan come “morte al dittatore” e “non è tempo di dolore, è tempo di rabbia”.

Insistendo sulla necessità di lottare contro il regime, gli studenti universitari hanno smentito la falsa narrazione del regime, secondo cui la rivolta è priva di leader e i giovani agiscono sulla base delle emozioni. In realtà, ogni giorno dimostrano la ferma volontà di portare avanti la ribellione nonostante la possibilità di essere arrestati, torturati e uccisi.

Nel tentativo di rimanere ancorato al potere, il regime – e i suoi propagandisti – sta giocando la carta della mancanza di alternative valide all’attuale teocrazia al potere. Paventando al popolo l’idea di un ritorno al passato, e quindi scegliere tra l’antica monarchia o l’attuale regime clericale.

Se si aggiungono le numerose evidenze che smentiscono una simile assurda teoria, come ad esempio il ruolo di primo piano delle Unità di Resistenza del MEK nell’attuale rivolta – confermato dagli stessi funzionari del regime – gli studenti universitari iraniani hanno da subito rigettato qualsiasi forma di potere dittatoriale al grido di “Abbasso l’oppressore, sia esso lo Scià o la Guida Suprema”.

In poche parole, il coraggio degli iraniani ha messo a nudo la debolezza del regime nel reprimere la rivoluzione in atto e, come hanno cantato gli iraniani in tutto il Paese, “Ogni volta che qualcuno cade, migliaia di persone si sollevano”.

Il generale dei Pasdaran, Ismail Kothari, in veste di portavoce del regime, ha dichiarato alla TV di Stato il 27 ottobre: “Abbiamo detto ad alcuni di questi arrestati che vogliamo consegnarli ai loro genitori. Hanno risposto che non vogliono ricevere alcun condono. Provate a cercarlo per voi stessi, perché non resterete al potere a lungo”.

Le incessanti proteste e la fermezza del popolo iraniano nella realizzazione di un Paese libero e democratico hanno stupito la comunità mondiale. Molte democrazie occidentali hanno sostenuto il loro coraggio. Ma queste dichiarazioni di sostegno, seppur verbale, non ha fermato la brutalità del regime. Il regime clericale iraniano ha continuato nel massacro sistematico degli oppositori. In un Paese in cui, ricordiamolo, un carnefice come Ebrahim Raisi viene scelto come presidente, chiedere al governo di fermare la violenza è più assurdo e inutile che chiedere a un piromane di spegnere un incendio.

Il solo modo per aiutare efficacemente gli iraniani è riconoscere il loro pieno diritto all’autodifesa. Le condanne e le dichiarazioni di solidarietà sono senz’altro importanti, ma devono essere integrate da azioni ferme e concrete da parte del mondo occidentale, in particolare ponendo fine alla non più sostenibile impunità di cui il regime ha goduto finora.

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