Terrorismo, arresti a tappeto, false accuse ed eliminazione fisica dei prigionieri: sono questi gli strumenti con cui i regime affronta la rivolta.
Il procuratore del regime clericale ha incriminato cinque attivisti ambientali, arrestati nove mesi prima dall’Intelligence del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, con l’accusa di “corruzione terrena”, dichiarando che i loro dossier sono pronti ad essere sottoposti alla corte.
(21 ottobre – Agenzia di stampa del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica). Questo nonostante la magistratura del regime li avesse precedentemente accusati di “spionaggio”.
Come ulteriore sviluppo, un avvocato ed attivista ambientale, Farshid Hakki, è stato ucciso in circostanze sospette il 17 ottobre, vicino alla sua dimora, nel Giardino Faiz di Tehran, ed il suo corpo è stato bruciato. Qualche giorno dopo la diffusione di questa notizia sui social, i media del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, come Tasnim, hanno riportato le parole dell’ufficio del coroner, dichiarando che la causa del decesso era un’immolazione. In data 23 ottobre, a Teheran, Il Procuratore Generale Dowlatabadi ha dichiarato che in seguito al trasferimento del cadavere al coroner ed all’esecuzione dell’autopsia, non sono stati trovati segni di pestaggio né indizi sospetti.
In seguito, il coroner ha respinto ogni tipo di accusa, dichiarando che non c’erano commenti su questo caso, aggiungendo che qualsiasi tipo di scoperta e la causa del decesso sarebbero state annunciate dal giudice della causa (Agenzia di stampa ILNA – 23 ottobre).
Il 24 gennaio 2018 furono arrestati diversi attivisti ed esperti ambientali; uno di loro, il Dott. Kavous Seyed Emami, professore universitario 64enne ed ex direttore dell’Agenzia per la Fauna Selvatica, morì sotto tortura nel carcere di Evin, a sole due settimane dal suo arresto, ma il regime dichiarò che si trattava di suicidio.
In seguito alla rivolta del popolo iraniano, almeno 14 di coloro che furono arrestati durante le proteste morirono sotto tortura, ma il regime dichiarò che la cause dei decessi erano “sucidio”, “indisponibilità di stupefacenti” od “overdose”. Il mullah Hassan Nowroozi, uno dei portavoce della Commissione Giuridica e Giudiziaria del Parlamento Iraniano, dichiarò: “Erano sprezzanti nei confronti di ciò che avevano fatto e sono morti a sua del proprio dolore, oppure si sono tolti la vita dopo avere realizzato l’efferatezza del loro stesso operato.”
L’affermazione fece un tale scandalo che il capo della fazione ambientale del parlamento, Mohammad Reza Tabesh, dichiarò: “L’arresto di diversi attivisti ambientali […] è sospetto e la morte del Dott. Seyed Emami in carcere deplorevole, e non fa altro che aumentare l’ambiguità relativamente alle accuse rivolte contro i detenuti.”
Il regime clericale, incapace di affrontare la rivolta e le proteste del popolo, ha fatto ricorso a sospette uccisioni all’interno del paese, fabbricando accuse per i prigionieri ed eliminandoli fisicamente; esso ha inoltre all stesso tempo incrementato i complotti terroristici all’estero.
La Resistenza Iraniana avverte circa il proseguimento e l’intensificazione di questi crimini contro l’umanità, ed esorta le organizzazioni internazionali per i diritti dell’uomo a condannarli con forza, impedendo al regime, tramite l’adozione di misure vincolanti, di proseguire le persecuzioni. L’istituzione di una delegazione internazionale che investighi sullo stato delle prigioni e dei prigionieri, in particolare dei prigionieri politici, e sui sospetti omicidi, è più necessaria che mai.
Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana
25 ottobre 2018