martedì, Ottobre 3, 2023
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Una rivolta di milioni di iracheni o un attacco da parte di un gruppo terroristico?

Struan Stevenson, membro del Parlamento Europeo 

Presidente della Delegazione del Parlamento Europeo per le Relazioni con l’Iraq 

Rimozione di Maliki dal suo incarico di Primo Ministro, fine dell’ingerenza iraniana e costituzione di un governo provvisorio nazionale, democratico e non settario: questa è l’unica soluzione alla crisi in Iraq, ed è sostenuta da settori significativi della società irachena. La rivolta popolare in Iraq e la liberazione delle sue città una dopo l’altra, insieme con il collasso delle forze di Maliki e con la loro diserzione di massa e ritirata di fronte alle tribù, stanno continuando rapidamente. Evidenziamo alcuni fatti di tale sviluppo.


 1. La propaganda di Maliki e dei suoi capi di Teheran, generosamente ripetuta dai media occidentali, secondo la quale queste regioni sarebbero cadute nelle mani di terroristi estremisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL), è assurda e senza fondamento. Che un gruppo isolato ed estremista di qualche centinaio o anche qualche migliaio di membri riesca a liberare circa 100.000 chilometri quadrati di territorio iracheno, con una popolazione di diversi milioni di persone, è inverosimile.
Sono le tribù e comuni cittadini iracheni che sono insorti furiosi contro Maliki. 

2. Con il pretesto di combattere il terrorismo, Maliki e il regime iraniano da una parte tentano di giustificare l’interferenza della forza terroristica iraniana ‘Qods’ e l’invasione dell’Iraq da parte delle guardie rivoluzionarie, dall’altra mirano a incoraggiare gli Stati Uniti a intervenire militarmente in favore di Maliki ripetendo il loro grave errore, su scala ancora più pericolosa. Noi in Occidente dobbiamo riconoscere che questa è una rivoluzione popolare contro Maliki e il suo regime repressivo e criminale, organizzato con l’assistenza degli Stati Uniti e ovviamente sotto la guida e la leadership del fascismo religioso al potere in Iran, con la spesa di centinaia di miliardi di dollari della ricchezza, in particolare derivante dal petrolio, dell’Iraq.
 

3. Il regime iraniano è ora intento a cercare di salvare Maliki. In una conversazione telefonica, il presidente Rouhani ha promesso a Maliki ogni tipo di cooperazione. “Fox News” ha scritto il 13 giugno: “Circa 150 combattenti della forza d’èlite ‘Quds’ delle Guardie Rivoluzionarie sono già state inviate da Teheran, e il potente comandante della divisione, Qassem Suleimani, ha incontrato giovedì il Primo Ministro iracheno Nouri al-Maliki e si è impegnato a inviare due notorie brigate iraniane per appoggiare la difesa di Baghdad”.
 

Il “Wall Street Journal” del 12 giugno ha scritto: “Almeno tre battaglioni della ‘Forza Quds’, il ramo internazionale d’élite delle Guardie, sono stati inviati come sostegno nella battaglia contro lo Stato Islamico di Iraq e al-Sham, una derivazione di al Qaeda che sta rapidamente guadagnando territorio attraverso l’Iraq. Riferiscono: “Un reparto delle Guardie che si trovava già in Iraq ha combattuto al fianco dell’esercito iracheno, fornendo consulenza sulle tattiche di guerriglia e aiutando nella riconquista della maggior parte della città di Tikrit giovedì; due reparti delle Guardie, inviati dalle province occidentali dell’Iran mercoledì, sono stati incaricati di proteggere Baghdad e le città sante sciite di Karbala e Najaf”.
 Questi resoconti rivelano solo una parte della realtà e confermano i nostri costanti allarmi circa l’ingerenza dell’Iran.


4. Resoconti sulle province di Nineveh e Salahaddin, preparati da giornalisti di CNN, al-Jazeera e BBC fra gli altri, confermano le nostre precedenti informazioni che nessuna violenza o aggressione è stata compiuta contro la popolazione locale. I residenti di queste aree hanno accolto con favore il fatto che le forze di Maliki siano fuggite e che le proprietà pubbliche e private siano ora relativamente sicure. L’esodo di massa di profughi da queste città è dovuto al bombardamento da parte delle forze di Maliki, sebbene 48 ore dopo la liberazione di Nineveh l’ondata di profughi si sia notevolmente ridotta e alcuni abbiano già iniziato a fare ritorno. 
 

5. Ieri, in una dichiarazione in 12 articoli, l’Associazione degli Studiosi Islamici in Iraq, che svolge un ruolo importante negli sviluppi del Paese, ha chiesto ai rivoluzionari iracheni di trattare bene la popolazione, aiutare a risolvere i loro problemi, trattare bene i gruppi etnici, non catturare ostaggi, perdonare e considerare i credenti di tutte le religioni senza pregiudizi. In questo quadro, le tribù armate si sono trattenute dall’entrare in Samarra nella provincia di Salahaddin, dove si trova il santuario di due imam sciiti, e stanno cercando di ottenere il controllo della città mediante negoziati con le forze governative allo scopo di prevenire uccisioni. Il generale George Casey ha rivelato nel giugno 2013 che quando egli era il comandante delle forze degli Stati Uniti in Iraq, nel 2006, il regime iraniano fece esplodere quel santuario sacro e attribuì la colpa ai sunniti, istigando un massacro attraverso l’Iraq. Casey ha dichiarato di avere personalmente riferito a Maliki che l’Iran era stato responsabile dell’esplosione, ma Maliki non intraprese alcuna azione.
 

6. Sheik Abdulqader Nael, uno degli sceicchi della provincia di al-Anbar, ha dichiarato l’11 giugno che i rivoluzionari chiedono la formazione di un governo di salvezza nazionale, un governo iracheno tecnocratico che conduca a elezioni eque in un tempo stabilito. 
 

7. Sheik Ali Hatam, il capo della tribù Al-Dulaim e uno dei leader della rivoluzione, in una dichiarazione in 6 articoli l’11 giugno ha chiesto a tutta la popolazione e ai combattenti di proteggere “le vite di tutti i cittadini e tutte le proprietà pubbliche e private”, di evitare vendette e di non consentire “alcuna forma di terrorismo”. Egli ha aggiunto che “tutti i soldati e gli impiegati governativi che sono stati costretti da Maliki e indotti a una guerra settaria” saranno perdonati. Ha ringraziato “tutte le forze di sicurezza che non hanno aperto il fuoco sulla popolazione” e ha affermato che saranno premiate. Sheik Ali Hatam ha chiesto la rimozione di Maliki dall’incarico di Primo Ministro e la costituzione di un governo provvisorio per salvare l’Iraq e ha dichiarato che le tribù sono pienamente in grado di farsi carico della sicurezza nelle province liberate.
 

8. Oltre alle guardie rivoluzionarie, Maliki sta usando le forze paramilitari collegate al regime iraniano, come Asai’b Ahl al-Haq e Kata’eb Hezbollah, per reprimere la rivolta popolare. Queste forze paramilitari hanno fatto esplodere alcuni dei ponti sul Tigri e sull’Eufrate per ostacolare l’avanzata delle forze rivoluzionarie, creando gravi problemi per la popolazione.

9. L’11 giugno Maliki ha ammesso che le sue truppe erano in fuga e ha dichiarato: “…i leader che hanno acconsentito a questa cospirazione, coloro che si sono ritirati e coloro che hanno mostrato debolezza dovranno tutti essere puniti… tutti coloro che hanno abbandonato le armi dovranno essere perseguiti. Essi non eviteranno la punizione”.


10. In tale situazione, il canale televisivo iracheno al-Taghier ha rivelato il 13 giugno che, per ordine di Maliki, miliardi di dollari in contanti sono stati trasferiti in veicoli corazzati dalla Banca Centrale dell’Iraq alla ‘zona verde’ di Baghdad per essere successivamente trasferiti in Iran.
 

Ripeto ancora una volta la proposta della conferenza tenuta a Bruxelles l’11 giugno come l’unica soluzione pratica alla crisi in Iraq per evitare ulteriori massacri. Questa soluzione include la rimozione di Maliki dall’incarico di Primo Ministro, la fine dell’ingerenza iraniana in Iraq e la formazione di un governo nazionale, democratico e non settario che includa tutti i segmenti della società irachena. Tale soluzione è largamente sostenuta dalle forze nazionaliste e democratiche irachene. Invece di assistere Maliki, cosa che condurrà solo a maggiori spargimenti di sangue, gli Stati Uniti e l’Unione Europea dovrebbero forzare Maliki ad accettare questa soluzione e a dimettersi immediatamente dal potere. 

 

 

 

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