Il regime iraniano svela il missile balistico “Qassem Basir” in una messa in scena di potenza
Il regime iraniano, scosso da catastrofiche sconfitte regionali e da disordini interni, sta intensificando sia la retorica bellicosa, ostentando avanzamenti militari non verificati, che la repressione del dissenso per sostenere la sua facciata di potere in rovina. Questo disperato tentativo della sua “Guida Suprema”, Ali Khamenei, mira a nascondere i fallimenti strategici e a radunare le forze demoralizzate, mentre il ricorso alla retorica del “soft power” cerca di ingannare la comunità internazionale facendole credere che Teheran abbia abbandonato la sua agenda nefasta.
La propaganda mostra un missile per mascherare la vulnerabilità
Il 4 maggio 2024 il regime clericale presentò il cosiddetto missile balistico Qassem Basir, che, a suo dire, ha una gittata di 1.200 chilometri e può eludere sistemi di difesa avanzati come THAAD e Patriot grazie alla manovrabilità e alla resistenza al jamming elettronico. Il ministro della Difesa Aziz Nasirzadeh, in interviste roboanti con media controllati dallo Stato, si è vantato che la precisione del missile garantisca che “qualsiasi obiettivo verrà distrutto” e ha minacciato di colpire basi statunitensi e israeliane nella regione in caso di provocazioni. Ha fatto riferimento alle operazioni “True Promise 1 e 2” per gonfiare le capacità missilistiche del regime, sostenendo che abbia nelle “città missilistiche” vaste riserve pronte per l’uso immediato.
Queste affermazioni altisonanti, tuttavia, puzzano di propaganda. Le affermazioni del regime secondo cui il missile Qassem Basir potrebbe aggirare facilmente le sofisticate difese occidentali rimangono non verificate, probabilmente esagerate per mostrare potenza e risollevare il morale delle sue forze. Le minacce di Nasirzadeh di colpire senza esitazione gli interessi statunitensi e israeliani rivelano l’incosciente bellicismo del regime, una tattica per distogliere l’attenzione dal calo del suo peso regionale e dalle crisi interne. L’ossessione della dittatura clericale per tali ostentazioni evidenzia la sua disperazione nel volere apparire formidabile mentre la sua influenza si sgretola.
Wary of facing pushback from its warmongering in the #MiddleEastConflict, #Iran's regime has sent another official to play the nuclear extortion card, hinting that its Supreme Leader may reconsider his fatwa and pursue nuclear weapon production. pic.twitter.com/NR14AOpObd
— NCRI-FAC (@iran_policy) April 9, 2024
Repressione spietata per soffocare l’opposizione
Le tattiche repressive di Teheran sono altrettanto sfacciate. Il 4 maggio 2024, l’agenzia di stampa ufficiale IRNA riferì che le forze di sicurezza a Sulaymaniyah, in Iraq, avevano impartito un ultimatum di 10 giorni ai gruppi curdi iraniani affinché abbandonassero le loro basi, minacciando violenza in caso di resistenza. Questa repressione rafforza un patto di sicurezza del 2023 tra Teheran e Baghdad, che vieta tutte le attività politiche, militari, economiche e sociali dei gruppi di opposizione iraniani in Iraq. Un decreto del 24 aprile 2024, firmato dal consigliere per la Sicurezza Nazionale iracheno Qasim al-Arajji, codifica questa oppressione, indicando la capacità del regime di usare la forza contro il vicino per mettere a tacere il dissenso.
Questa mossa spietata mette a nudo la paranoia e la debolezza del regime clericale. Schiacciando i gruppi di opposizione vicino ai suoi confini, Teheran cerca di consolidare la vacillante presa sul potere e di proiettare un’immagine di controllo alle sue forze assediate. La repressione è un duro monito del ricorso del regime alla coercizione per mantenere la propria influenza in calo, pur dovendo affrontare una crescente resistenza in patria e all’estero.
Retorica guerrafondaia per distogliere l’attenzione dalle sconfitte
Lo stesso giorno, il quotidiano Kayhan ha lanciato un appello alle armi, esortando Teheran a dominare la regione piuttosto che perdere tempo in negoziati. Ha falsamente dipinto il regime clericale come “la più grande potenza militare e politica” in Medio Oriente, chiedendo un’azione aggressiva per evitare di cadere vittima della “guerra cognitiva nemica”. Questa retorica incendiaria è un palese tentativo di mascherare la serie di umilianti sconfitte del regime, dal crollo dei suoi alleati in Siria alle battute d’arresto in Yemen e in Libano.
Watch and judge how #Khamenei who has been squandering #Iran's wealth on global terrorism and regional warmongering has got the nerve to accuse ordinary people of wasting water, bread and electricity. pic.twitter.com/YCGqWdVkK7
— NCRI-FAC (@iran_policy) January 29, 2024
Nonostante le affermazioni ufficiali di forza, l’appello di Kamal Kharrazi all’Iran ad adottare “soft power accanto all’hard power” tradiva le preoccupazioni latenti riguardo alla diminuzione dell’influenza regionale di Teheran. Intervenendo a una conferenza del regime il 1° maggio 2024, Kharrazi si vantò che “nessuno può invadere l’Iran” e lodò i successi militari del regime. Tuttavia, la sua enfasi sul soft power e sul dialogo regionale rifletteva implicitamente un allontanamento dalla precedente dipendenza dell’Iran dal predominio nell’hard power, a seguito delle battute d’arresto nella sua rete di gruppi armati delegati e alleanze regionali.
Intanto, un articolo di Asharq Al-Awsat del 2 maggio 2025 denuncia l’indebolimento del regime, notandone la ridotta influenza nell’arena politica irachena in vista delle elezioni del novembre 2025. Gli agenti di Teheran, come il comandante della Forza Quds Esmail Qaani, ora operano nell’ombra, ben lontani dal precedente dominio del regime. Alcuni analisti suggeriscono che la dittatura clericale potrebbe persino sacrificare l’Iraq per preservare i suoi interessi fondamentali, segno di un impero ridotto al limite e in declino. Questa ritirata, unita alle ammissioni di Kharrazi, mette a nudo la disperazione del regime nel voler nascondere la sua condizione di degrado.
La postura bellicista del regime iraniano, le sue vanterie sui missili a vuoto e l’intensificazione della repressione sono le mosse disperate di una dittatura al collasso. La presentazione del missile Qassem Basir e le rinnovate minacce contro obiettivi stranieri mirano a mostrare potenza, radunare le forze demoralizzate e a distogliere l’attenzione dalle fratture sempre più profonde all’interno del regime. Un regime così timoroso ma incoraggiato dall’impunità esige non un’acquiescenza, ma un’azione risoluta e intransigente per contrastare le sue aggressioni e accelerarne l’inevitabile collasso.