venerdì, Marzo 29, 2024
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Perché il silenzio non è un’opzione nelle rivolte in Iran

a cura dello staff del CNRI

CNRI – Quando si resta in silenzio di fronte a situazioni di oppressione, si sta tacitamente dalla parte dell’oppressore. Ecco perché gli Stati Uniti devono intervenire sulle proteste in Iran, che infuriano da almeno due settimane e nelle quali almeno 50 persone sono morte.

L’ambasciatore americano all’ONU Nikki Haley ha colpito nel segno venerdì scorso quando ha parlato durante una sessione di emergenza del Consiglio di Sicurezza convocata per discutere delle proteste. “I diritti umani non sono un regalo dei governi. Sono un diritto inalienabile del popolo stesso”, ha detto. “Il regime iraniano ha risposto alle proteste scoppiate in tutta la nazione arrestando 3700 pacifici manifestanti, minacciandoli di esecuzione e interrompendo l’accesso ad internet alle persone in modo che non possano comunicare tra di loro e con il mondo esterno. Questo viola il diritto di libertà di parola, il diritto alla pacifica protesta e il diritto a non essere sottoposti a pene crudeli e disumane”. 

Haley ha aggiunto: “Il regime ora è avvertito: ‘Il mondo vi sta guardando’”.

Naturalmente Haley non è il solo membro dell’amministrazione di Donald Trump a promettere il suo sostegno al diritto di protesta del popolo iraniano. Quasi tutti, dal Segretario alla Difesa James Mattis, al Vice-Presidente Mike Pence, a Trump stesso, hanno offerto il loro appoggio con messaggi televisivi, editoriali e tweets.

Inoltre la Camera dei Rappresentanti americana ha votato per elogiare le proteste e condannare il regime.

Ma non dovrebbero essere solo gli Stati Uniti ad appoggiare il popolo iraniano. Molti paesi europei non hanno neanche riconosciuto queste proteste, lanciate da decine di migliaia di persone che chiedono il rispetto dei loro più fondamentali diritti, figuriamoci appoggiarle.

L’ambasciatore francese all’ONU, François Delattre, ha persino cercato di minimizzare le proteste durante il meeting del Consiglio di Sicurezza, affermando che il popolo iraniano dovrebbe cercare un dialogo pacifico con il regime stesso.

Non ha parlato del fatto che i difensori dei diritti umani in Iran, spesso finiscono arrestati o peggio, cosa che porterebbe qualunque persona di buonsenso a riconoscere che gli iraniani non possono ragionare con i mullah senza rischiare la vita.

Nel frattempo l’ambasciatore britannico ere più preoccupato di preservare l’accordo sul nucleare iraniano del 2015, piuttosto che i diritti del popolo iraniano.

Alcuni apologeti del regime hanno consigliato ai governi stranieri “di evitare di intervenire negli affari interni dell’Iran”, il che equivale a voltare le spalle al popolo iraniano che sta invocando un Iran libero.

Amir Basiri, attivista iraniano per i diritti umani, ha scritto sul Washington Examiner’s Beltway Confidential blog: “Secondo la loro interpretazione soggettiva, appoggiare i fondamentali diritti umani dei dimostranti equivale ad un’ingerenza negli affari interni. Ma prendere parte ad accordi commerciali e riempire i forzieri del regime che reprime quei manifestanti non lo è”.

Il problema non è che la comunità internazionale sta interferendo negli affari dell’Iran, ma che non riesce a proteggere la libertà e la democrazia in Iran.

Basiri ha scritto: “Abbiamo già visto che cosa produce il non fare nulla. Lo abbiamo visto nel 2009 in Iran, quando l’amministrazione Obama decise di farsi da parte mentre il regime sedava le proteste in Iran. Lo abbiamo visto di nuovo in Siria, dove il non-intervento della comunità internazionale ha portato al massacro di centinaia di migliaia di civili, ad una lunga guerra, ad una crisi globale e alla nascita dello Stato Islamico”.

Basiri consiglia alla comunità internazionale di utilizzare sanzioni mirate per bloccare organizzazioni o individui coinvolti nelle violazioni dei diritti umani, di utilizzare la tecnologia per aggirare la censura del regime su internet e di sostenere il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana che lotta per un Iran laico e democratico.

 

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