The Hill , 22 agosto 2012
di Tahar Boumedra
Mentre il mondo presume che le Nazioni Unite abbiano difeso queste norme, io so il contrario.
Per quanto duro possa essere per molti crederlo, dato che le Nazioni Unite servono la causa dei diritti umani e della pace mondiale, questa è una vergognosa storia di occultamento della verità e di distoglimento dello sguardo altrove quando eravamo a conoscenza di violazioni: di complicità con trasgressori e di abbandono dei diritti umani e delle responsabilità umanitarie.
I diritti fondamentali di questi esuli — condizioni di vita umane, accesso alla giustizia, necessità umanitarie inclusi servizi medici per i malati e i feriti, e libertà dalle minacce di danni fisici — sono stati ripetutamente negati dal governo iracheno secondo le direttive dell’ufficio del primo ministro. Il Rappresentante Speciale del Segretario Generale Martin Kobler, a differenza del suo predecessore, che aveva mantenuto l’indipendenza e l’integrità della sua missione anche scontentando Nouri al-Maliki, ha favorito l’agenda del primo ministro falsificando informazioni fornite alla dirigenza superiore delle Nazioni Unite e alla comunità internazionale.
Come principale referente per le questioni relative a Camp Ashraf all’UNAMI, mi sono trovato di fronte a un grave dilemma morale vedendo i miei rapporti manipolati e censurati. Nessun mio rapporto di prima mano ha mai raggiunto il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon o alti funzionari a New York. Dopo avere mantenuto il silenzio troppo a lungo, mi sono ora dimesso e la mia coscienza chiede che io porti la verità alla luce. Sono pronto a confermare questi fatti sotto giuramento.
Quando le forze irachene attaccarono i residenti disarmati di Camp Ashraf nel 2009 e nel 2011, fui io a condurre il conteggio dei corpi. L’attacco dell’aprile 2011, che provocò 36 morti e centinaia di feriti, fu un massacro in cui uomini e donne vennero investiti e uccisi da veicoli militari o uccisi da proiettili sparati a corta distanza. Tuttavia, quando l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani e l’UNAMI chiesero una commissione d’inchiesta indipendente, il governo iracheno rifiutò. I nostri ripetuti tentativi di mandare gli esuli gravemente feriti in ospedali iracheni furono bloccati dal governo dell’Iraq, e alcuni morirono. L’UNAMI non ha mai obiettato, riferendo invece che l’Iraq aveva rispettato i propri obblighi internazionali.
Quando l’Iraq fu pronto a iniziare il trasferimento degli esuli al nuovo sito di Camp Liberty nel dicembre 2011, feci diverse visite ispettive a Camp Liberty e dissi a Kobler che il campo non era idoneo a ospitare 3.400 uomini e donne. Kobler visitò Camp Liberty e vide che io avevo ragione; tuttavia quando l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) incaricò un consulente di valutare le condizioni a Camp Liberty, Kobler fece pressioni su di lui perché certificasse che il campo soddisfaceva tutte le norme umanitarie richieste, cosa che sapevamo essere lontana dal vero. Dopo che il consulente rifiutò, Kobler pubblicò un rapporto che trasse in inganno la comunità internazionale e gli esuli facendo credere che gli standard di idoneità fossero soddisfatti, così che si potesse procedere con il processo di trasferimento.
Egli face inoltre fare a collaboratori dell’UNAMI circa 500 fotografie a Camp Liberty, delle quali 20-30 delle meno offensive furono selezionate e inviate all’organizzazione di riferimento degli esuli a Parigi con il messaggio che il nuovo sito avrebbe avuto una superficie di 40 chilometri quadrati, ridotti a 2,5. Su quella base, gli esuli accettarono di spostarsi da Camp Ashraf. In realtà, il sito di Camp Liberty misura 0,6 chilometri quadrati ed è circondato da mura di cemento alte da tre a quattro metri. Mi ricorda il campo di concentramento nel quale vissi da bambino durante la guerra di liberazione dell’Algeria.
Al-Maliki, con l’incoraggiamento dell’Iran, ha continuamente ostacolato la missione delle Nazioni Unite di condurre il processo di identificazione di questi esuli come potenziali rifugiati e di trasferirli garantendo la loro sicurezza in Paesi terzi. L’Iraq non avrebbe consentito che l’UNHCR conducesse le interviste del caso a Camp Ashraf, sebbene questo fosse stato fatto in modo soddisfacente in passato. L’Iraq ha respinto la richiesta dei residenti di Camp Ashraf di cooperare con loro nella pianificazione della loro partenza. Minacce di morte in lingua farsi sono state diffuse per 18 ore al giorno nella maggior parte dei giorni mediante altoparlanti tutto intorno a Camp Ashraf, e l’Iraq ha emesso quasi 200 mandati di arresto contro residenti senza alcun processo. Ciascun movimento di esuli quest’anno da Camp Ashraf a Camp Liberty è stato coordinato, anche per le date e i numeri specifici, dall’Iraq con l’ambasciata iraniana a Baghdad.
La loro agenda è ovvia: spezzare la volontà e il morale degli esuli come gruppo organizzato e forzare la loro partenza. L’UNAMI non ha mai cercato seriamente di prendere accordi perché un Paese terzo ospitasse i residenti e il personale delle Nazioni Unite così che le procedure per lo status di rifugiato potessero essere svolte senza problemi. Con 2.000 esuli ormai a Camp Liberty, le Nazioni Unite hanno intervistato solo pochi di loro, e nemmeno per una persona è stata completata la procedura. Se funzionari governativi degli Stati Uniti coinvolti nel trasferimento e nelle procedure degli esuli siano a conoscenza di tali realtà non lo so; è Kobler il loro interlocutore. A funzionari stranieri non delle Nazioni Unite e ad alcuni funzionari consolari è stato negato l’accesso sia a Camp Ashraf che a Camp Liberty.
Le azioni dell’Iraq nei confronti di questi esuli, che per anni avevano avuto riconosciuto uno status di ospiti paragonabile a quello di un’istituzione estera sovrana, violano il principio ben stabilito secondo il quale un cambio di governo non influisce sui diritti acquisiti senza un dovuto processo legislativo. Gli Stati Uniti, che prima garantirono loro lo status di persone protette ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra e poi girarono la loro protezione all’Iraq nel 2009, mantengono l’obbligo secondo l’articolo 45 di assicurare la loro protezione continua.
Queste persone indifese stanno affrontando intollerabili abusi e pericoli. Occorre che il Segretario Generale dell’ONU e i governi volenterosi stabiliscano condizioni, in Iraq o altrove, che mettano in grado le Nazioni Unite di espletare i procedimenti per queste persone in modo appropriato, rapidamente e in condizioni di sicurezza. È necessaria un’azione immediata per difendere i loro diritti umani essenziali, proteggerli da ulteriori minacce di danni fisici e ristabilire la reputazione delle Nazioni Unite.
Boumedra è un attivista per i diritti umani algerino che in precedenza ha insegnato Diritto ed è stato condirettore dell’African Journal of International and Comparative Law, vice-segretario generale della African Society of International and Comparative Law, consulente della African Commission of Human and Peoples’ Rights, direttore della African Review of Human and Peoples’ Rights e direttore regionale di Penal Reform International.