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La lobby del regime iraniano negli U.S.A. fa gli interessi di Khamenei e dei Passdaran

I lobbisti e le spie dell’Iran sono tra di noi?

“Il recente Ordine Esecutivo riguardante l’immigrazione da sette paesi a maggioranza musulmana, ha suscitato una feroce discussione in tutti gli ambienti, e la questione su chi realmente minacci o no la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Mentre aspettiamo di vedere come si svolgerà questo dibattito nelle prossime settimane e mesi, c’è la sensazione che potremmo ritrovarci a chiudere, come dice il proverbio, la porta della stalla dopo che sono scappati i buoi”, ha scritto il Dr. Majid Rafizadeh venerdì 10 Febbraio 2017 su Al Arabiya. L’articolo prosegue coarasì:

Alcuni ritengono che ci siano persone già negli Stati Uniti, le cui parole e i cui atti, per conto di potenze straniere, minaccino seriamente l’America e i suoi alleati. L’Iran è uno dei paesi citati nell’Atto Esecutivo del presidente. Non c’è bisogno di dire che la Repubblica Islamica dell’Iran resta il primo stato sponsor del terrorismo.

Ma fondamentalmente alcuni pensano che ci si dovrebbe concentrare anche sulla minaccia che viene da un gruppo molto affiatato e da un circolo dorato della Repubblica Islamica dell’Iran, agenti e lobbisti, determinati ad allettare, incitare e a persuadere i politici statunitensi a credere che la compiacenza e un tocco leggero siano gli unici mezzi pacifici per limitare lo stato che è il maggiore sponsor del terrorismo.

Al servizio degli interessi di Khamenei e dell’IRGC

Molti affermano che alcuni lobbisti iraniani operino alla luce del sole e che abbiano avuto accesso ai massimi funzionari della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato. Hanno spinto per la revoca delle sanzioni imposte al Corpo della Guardie Rivoluzionarie iraniane (IRGC), demonizzando al contempo, gli irano-americani che hanno chiesto maggiore fermezza verso i religiosi e gli ayatollah al potere in Iran.

Inoltre alcuni si chiedono, sebbene una legge degli Stati Uniti, il Lobbying Disclosure Act, richieda che chiunque svolga attività di lobby guadagnandone denaro, si registri per amore di trasparenza, com’è possibile che alcuni lobbisti pro-Iran, sembra siano riusciti ad ignorare la legge?

Sembra che, a sua infamia, l’amministrazione Obama abbia dato ascolto ai lobbisti iraniani e abbia accettato la parte della “mancanza di opposizione popolare”, il che spiega perché sia rimasta così sorpresa e poi sia rimasta in silenzio quando nel 2009 milioni di iraniani si riversarono nelle strade.

Dall’altro lato, altri ritengono che un’altra categoria di lobbisti o agenti iraniani agiscano in maniera meno palese e che si siano ora rifugiati in praticamente tutti i settori critici della società americana, incluso quello accademico, universitario e in ambiti non accademici come quello dei gruppi di esperti. Ali, un analista politico, ha detto che “Sono tagliati per questo lavoro”, aggiungendo che di questa categoria fanno parte alcuni ex-insider del regime.

Come disse in passato Frank Figliuzzi, l’ex-assistente del direttore del controspionaggio all’FBI a Bloomberg: “Noi abbiamo prove di intelligence e diversi casi comprovanti che le università americane sono proprio l’obbiettivo dei servizi di intelligence stranieri”.

Molti ritengono che nessuno possa, con qualche credibilità, difendere l’esportazione del terrorismo, l’avventurismo militare, l’ingerenza negli affari di altri paesi, le orribili violazioni dei diritti umani o la persecuzione delle minoranze etniche e religiose praticata dai loro finanziatori. Nel corso degli anni il Ministero dell’Intelligence iraniano ha sviluppato sofisticati modus operandi, per cui i suoi sostenitori per primi riconoscono, anche se a malincuore o con ogni sorta di scuse circa “differenze culturali” o “preconcetti occidentali”, l’antipatia del regime al potere verso le libertà democratiche.

Veniamo al punto: sembra che i lobbisti e i difensori della Repubblica Islamica poi rifiutino chiunque suggerisca che gli Stati Uniti debbano rispondere a questa scioccante condotta con fermezza, da guerrafondai. Ma nessuno sembra volere, o chiedere, un conflitto armato con l’Iran, quindi questa non è un’opzione.

Sembra anche che la via per migliorare il comportamento dell’Iran, secondo loro, sia di fare i bravi, ignorare l’ingerenza nella regione, le violazioni dei diritti umani, gli arresti degli attivisti e dei giornalisti, le violenze sui sunniti, i Baha’i e le altre minoranze religiose e le esecuzioni di massa. Offrire incentivi per indurre i mullah a smettere di favorire i massacri di Assad in Siria o per interrompere le loro forniture di armi ad Hezbollah o per cessare i test di lancio sui missili. Ma questo non ha funzionato, potrebbe obbiettare qualunque osservatore ragionevole. Perché non studiare altre opzioni?

Non ce ne sono, sembrano insistere quei commentatori. Non c’è opposizione popolare, sembrano dire, e la resistenza organizzata contro il regime, il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) e i suoi principali componenti i Mujahedin-e Khalq (MEK), vengono demonizzati come una setta.

Il fallimento di Obama: aver dato ascolto alla lobby segreta iraniana

Ma diamo uno sguardo più da vicino. Sembra che, a sua infamia, l’amministrazione Obama abbia ascoltato i lobbisti della Repubblica Islamica dell’Iran, credendo alla parte su “nessuna opposizione popolare”, il che spiega perché sia rimasta così sorpresa e poi in silenzio quando nel 2009 milioni di iraniani si riversarono nelle strade chiedendo il rovesciamento della teocrazia.

Il politici americani rimasero a guardare impotenti, insieme al resto del mondo, mentre dimostranti indifesi venivano uccisi. Sembrò che quell’enorme movimento popolare fosse l’espressione del sentimento travolgente del popolo iraniano, riunito nel CNRI che opera come il parlamento in esilio dalla sua sede fuori Parigi.

Il principale componente del CNRI, il MEK, è stato definito da una maggioranza bipartisan alla Camera dei Rappresentanti e da un numero significativo di senatori “un legittimo movimento di resistenza”, “una illustre organizzazione anti-fondamentalista che sposa un Islam tollerante” e “il maggior protagonista nella lotta contro questo fenomeno malvagio e il terrorismo che da esso promana”.

Quale più antica coalizione politica nella storia iraniana (36 anni), alla conferenza annuale del CNRI partecipano regolarmente illustri politici di ogni schieramento, ufficiali militari e diplomatici di tutto il mondo che parlano alla folla formata perlopiù da iraniani in esilio, che supera le 100.000 persone.

Nel 2001, circa tre dozzine di senatori scrissero: “La politica americana deve rivolgersi a coloro che lavorano per creare un sistema democratico e pluralistico nel paese. In questo contesto, l’appoggio agli obbiettivi democratici del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana e alla sua presidente eletta Maryam Rajavi, i cui obbiettivi sono condivisi dalla maggioranza degli iraniani, può contribuire al ristabilimento della pace, del rispetto dei diritti umani e dalla stabilità nella regione”.

Perché i nostri politici non hanno ascoltato? Chi ha fatto questa domanda ritiene che ciò sia avvenuto a causa di alcuni di quei superficiali e cosiddetti esperti e docenti iraniani, discreti, spesso sofisticati, benestanti e ben addestrati, che probabilmente lavorano per la Repubblica Islamica dell’Iran e il Ministero dell’Intelligence iraniano, che li ha imboccati con la pappa del regime iraniano.

Inoltre aggiunge che non ci si può permettere il lusso di consentire la loro presenza tra di noi ed in particolare che abbiano accesso ai nostri politici e funzionari. Ed infine ritiene che gli agenti iraniani rappresentino una minaccia reale ed un pericolo immediato e che debbano essere fermati con velocità e fermezza.

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Il Dr. Majid Rafizadeh, politologo irano-americano, è presidente dell’International American Council. Il Dr. Rafizadeh ha studiato ad Harvard e fa parte del consiglio della Harvard International Review all’Università di Harvard.

 

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