
L’Iran nega che il convertitore di Arak faccia parte di un programma militare e dichiara che è finalizzato alla produzione di radioisotopi per usi medici.
Un’etichetta presa per buona dagli ispettori dell’IAEA (acronimo inglese per “Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica), che tuttavia, con una Risoluzione del Consiglio dei Governatori del 18 giugno 2004, ha chiesto il congelamento dei lavori per la realizzazione del sito, che invece procedono a tappe forzate come dimostrano le foto da satellite che Agenzia Radicale riporta di seguito.
La posizione dell’Iaea appare comprensibile sotto il profilo della non pregiudiziale valutazione.
La denunzia del Comitato della Resistenza in Iran risale all’agosto del 2002, la prima ispezione dell’Iaea, che ha giudicato solo su disegni di progetto, è del febbraio 2003, mentre l’affermazione di Teheran di volere costruire in quel sito un reattore ad acqua pesante da 40 MW è del maggio dello stesso anno.
I lavori hanno avuto inizio nel 2004 e solo le più recenti foto da satellite svelano le reali finalità dell’impianto, tra cui la realizzazione di una sala per l’allocazione delle cosiddette “celle calde” che consentono la manipolazione del plutonio.
L’Iran ha acquistato nel maggio del 2003 ventotto apparati di questo genere, del tipo adatto per l’estrazione del plutonio dal combustibile irradiato, e relativi scudi ad alta protezione (il combustibile spento è intensamente radioattivo) dall’industria francese che lo ha venduto con queste peculiari specifiche.
Questa notizia cambia radicalmente gli aspetti della questione nucleare iraniana, perché se il programma di arricchimento dell’uranio presenta aspetti bivalenti, civili e militari, e la discriminante è il grado di arricchimento finale dell’uranio (pochi percento per usi civili, quasi totale per usi militari), la tecnologia del plutonio ha finalità inequivocabilmente militari.
Inoltre, reattori analoghi a quello in realizzazione ad Arak hanno, in altri Paesi dove sono stati realizzati, questa esclusiva funzione.
La svolta nelle potenziali nucleari militari dell’Iran potrebbe avvenire con la messa in produzione del reattore da 1000 MWe di Bushehr, progetto completato con l’aiuto della Russia a partire dal 1995 dopo il ritiro della Germania Occidentale che lo aveva avviato a seguito della rivoluzione komeinista.
Dal riciclo del combustibile esausto l’Iran potrebbe ricavare da quel solo impianto (ne sono previsti sette omologhi) plutonio con specifiche militari per la confezione di circa trentacinque ordigni l’anno.
I dati derivano dall’esperienza su impianti simili.
La Russia, comunque, condiziona la fornitura del primo rifornimento di combustile nucleare fresco per il reattore di Bushehr alla restituzione da parte dell’Iran del combustibile esausto, in modo impedire un suo trattamento per convertirlo in plutonio.
Sotto il profilo civile il reattore di Bushehr contribuirebbe per il 4% dei fabbisogni di energia elettrica dell’Iran.
A completare il quadro c’è la notizia che nel settembre 2003 l’Iaea ha scoperto che l’Iran è in possesso di “Polonio 210” ottenuto per conversione a seguito di irraggiamento di bismuto metallico.
Il Po210 ha impiego in associazione con il “Berillio” come detonatore in alcuni tipi di armi nucleari, quali gli ordigni al plutonio.
A questo punto la presunzione di buona fede nei confronti dell’Iran viene meno, in quanto molteplici riscontri indicano che il suo impegno nel nucleare è prevalentemente militare e le stesse installazioni con scopo anche civile, quali quella di Bushehr, sono di fatto finalizzate a scopi militari.
Altro aspetto preoccupante è quello della padronanza da parte dell’Iran delle tecnologie laser finalizzate ai processi del ciclo nucleare. Su questo specifico punto torneremo con un altro lancio di agenzia.
Giorgio Prinzi