venerdì, Marzo 29, 2024
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Il massacro del 1988 dei prigionieri politici in Iran e l’accordo sul nucleare

Un ex-prigioniero politico iraniano ha descritto il suo tormento durante il sette anni passati nelle carceri dei mullah in Iran.

Karim Moradi, attivista per i diritti umani e membro della Società dei Prigionieri Politici Iraniani ha raccontato il massacro dei prigionieri politici del 1988 in Iran, venerdì in un articolo su TheHill.com.

Spesso mi viene chiesto dai miei amici americani cosa ne penso dell’accordo con l’Iran. Come uno che ha passato sette anni della sua vita in carcere in Iran, è difficile per me dare una risposta semplice. Ho passato le ultime settimane a riflettere, non sull’accordo sul nucleare con l’Iran, ma sull’estate del 1988, quando l’Iran massacrò sistematicamente 30.000 prigionieri politici nel giro di poche settimane.

Sono nato nel 1958 nella bellissima città di Shiraz, nell’Iran sud-occidentale. Ero uno studente e un attivista contro la dittatura dello Scià, ma dopo la rivoluzione del 1979 capii che i miei valori erano in netto contrasto con i religiosi che avevano usurpato la rivoluzione popolare. Mi sentivo vicino ai Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI/MEK) un’organizzazione all’opposizione che sposava una interpretazione democratica dell’Islam e si batteva per una repubblica laica e democratica.

Venni arrestato dal regime teocratico per aver venduto giornali dell’opposizione nel Gennaio 1982. Avevo 23 anni quando, dopo un processo-farsa, fui inizialmente condannato a 10 anni di prigione. Poi fui torturato e condannato a morte da un giudice di nome Ramazani.

Mentre mi trovavo in carcere venivo frustato nei piedi e sulla schiena con dei cavi elettrici e venivo costantemente picchiato. I miei compagni di cella, tutti prigionieri politici, venivano appesi al soffitto, a volte per ore, oppure gli veniva bruciato il corpo a poco a poco. Avevo anche sentito di alcune donne, tra cui due sorelle di un amico di famiglia, che erano state stuprate prima di essere giustiziate.

Sebbene le nostre giornate fossero piene di solitudine e di torture, spesso la notte trovavamo il tempo di sussurrare poesie e canzoni rivoluzionarie tutti insieme, sia per risvegliare i nostri spiriti che per fuggire solo per un momento. Grazie a questi piccoli atti di sfida, riuscimmo a rafforzare la nostra resistenza e a mantenere alti gli spiriti in quello che era un vero e proprio inferno. 

Venni rilasciato grazie ad un raro colpo di fortuna due mesi prima che avvenisse il più gran massacro di prigionieri politici nella storia dell’Iran. Mio padre riuscì a sfruttare un contatto nel Consiglio Giudiziario Supremo per far commutare la mia condanna a morte e ottenere il mio rilascio per motivi di salute.

L’ordine del massacro arrivò direttamente dall’ayatollah Khomeini, sotto forma di una fatwa (decreto religioso), che chiedeva l’esecuzione di tutti coloro che erano fermamente decisi ad appoggiare il MEK. Ai prigionieri veniva fatta una semplice domanda: “Appoggi ancora il MEK?” Quelli che rispondevano sì, venivano giustiziati, anche se la loro condanna originaria era già stata scontata. Molti miei carissimi amici furono giustiziati.

La stragrande maggioranza delle vittime erano membri e sostenitori del MEK. Vennero impiccati in gruppi, alcuni di 10-15 alla volta e poi sepolti in fosse comuni. L’entità del massacro resta ignota, dato che nessuna indagine ufficiale è stata avviata, ma i gruppi di opposizione stimano che ben 30.000 persone furono uccise quell’estate.

Non racconterò nei dettagli ciò che accadde nel 1988. Ci sono molti testimoni oculari e prove raccolte su questo massacro. Chiedo solo che le vite di decine di migliaia dei migliori e più splendenti figli dell’Iran non vengano ridotte ad una nota a piè di pagina della storia.

Anche se sono riuscito a lasciare l’Iran, non sono riuscito a sfuggire alle profonde ferite inflittemi nelle carceri del brutale regime teocratico. Non riuscirò mai a vivere una vita normale e sono perseguitato dal ricordo dei miei amici che mi sono stati portati via. Oggi concentro le mie energie a difendere i diritti umani degli altri prigionieri politici in Iran.

Quando mi viene chiesto dell’accordo sul nucleare, riesco solo a pensare alla crudeltà con cui il regime giustiziò migliaia di giovani iraniani solamente perché in loro albergava un credo differente. Questo è esattamente ciò che sta facendo oggi l’ISIS in Medio Oriente.

Non sto chiedendo la guerra o un intervento militare straniero, ma il regime iraniano ha già da molto tempo dichiarato guerra al suo stesso popolo. Non ci si può fidare di questo regime.

Credo che sia mio dovere parlare di quello che è accaduto a me e ai miei compagni caduti, che hanno combattuto per la democrazia contro una tirannia religiosa. Il regime iraniano continua ad essere uno dei maggiori responsabili di violazioni dei diritti umani del mondo. E’ una minaccia per il popolo iraniano e resta una minaccia per il mondo dato che è l’epicentro del fondamentalismo islamico e del terrorismo.

 

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