Il regime iraniano sta affrontando una crisi crescente dopo la rivelazione del presidente russo Vladimir Putin che 4.000 militari iraniani erano stati ritirati dalla Siria. Questo annuncio, fatto durante la conferenza stampa annuale di Putin del 19 dicembre, contrasta nettamente con le affermazioni di lunga data di Teheran sul suo “ruolo consultivo” in Siria, mettendo a nudo le battute d’arresto militari del regime e rivelando una crisi sempre più profonda nelle sue ambizioni regionali e nel controllo interno.
Putin ha confermato: “Abbiamo aiutato l’Iran a ritirare 4.000 militari dalla Siria su richiesta di Teheran”. Il Cremlino ha anche riconosciuto di avere concesso asilo politico a Bashar al-Assad e alla sua famiglia dopo il crollo del suo regime a Damasco.
La rivelazione ha provocato reazioni difensive da parte dei funzionari iraniani che hanno tentato di minimizzare o negare la dichiarazione. Il generale dell’IRGC (Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche) Mohammad Esmail Kowsari ha negato quanto affermato da Putin, dichiarando: “La Repubblica Islamica non consente alla Russia di spostare le sue forze”, e aggiungendo: “Questi individui non erano soldati iraniani ma volontari stranieri, tra cui libanesi e afghani, che erano stati coinvolti in attività di consulenza”.
Khamenei Digs in As #Assad’s Fall Rattles #Tehranhttps://t.co/LW9OIi50Kp
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In modo simile, Mohammad-Jafar Asadi, un altro ufficiale dell’IRGC, ha affermato che i trasportati erano “personale non militare” o “sciiti afghani e pakistani che avevano collaborato alle attività umanitarie in Siria”. Asadi ha aggiunto: “Anche gli insegnanti iraniani che lavoravano in Siria hanno ricevuto l’ordine di andarsene attraverso il Libano”.
Il Ministero degli Esteri del regime ha tentato di ‘salvare la faccia’ inquadrando l’evacuazione come una “decisione responsabile” presa “in considerazione dell’evoluzione della sicurezza e della situazione politica in Siria”. Tuttavia, questa narrazione contrasta nettamente con l’esplicito riconoscimento da parte di Putin che sia stato trasferito personale militare iraniano, esponendo ulteriormente la scarsa credibilità di Teheran.
La ritirata siriana segna non solo una sconfitta militare, ma anche un colpo psicologico per il regime iraniano. Per anni, Teheran ha inquadrato il suo intervento in Siria come un pilastro strategico della sua sicurezza, spendendo oltre 50 miliardi di dollari e sacrificando migliaia di soldati dell’IRGC per sostenere la dittatura di Assad. Tuttavia, la caduta di Assad e il successivo ritiro delle forze iraniane hanno trasformato questa narrazione in una grave responsabilità, scatenando una disillusione diffusa tra le forze del regime di Teheran e l’opinione pubblica.
La ‘guida suprema’ del regime, Ali Khamenei, ha cercato di reprimere il dissenso in un discorso l’11 dicembre, avvisando: “Chiunque demoralizzi il popolo è colpevole e verrà punito”, nel tentativo di contenere la reazione negativa derivante dai fallimenti regionali del regime. A livello nazionale, la ritirata ha amplificato la rabbia pubblica per le disavventure estere del regime. Con l’inflazione alle stelle e la povertà che si diffonde, molti iraniani si chiedono perché siano stati spesi miliardi in Siria mentre i loro bisogni primari rimangono insoddisfatti. Famiglie di soldati dell’IRGC morti in Siria esigono assunzioni di responsabilità, erodendo ulteriormente il sostegno al regime tra la sua base.
The #Iranian Regime’s Role in Propping Up Bashar al-Assad in #Syriahttps://t.co/RlldRcZDFJ
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Allo stesso tempo, i gruppi che agiscono per conto del regime in tutto il Medio Oriente, che un tempo vedevano Teheran come una potenza formidabile, sono sempre più disillusi. Le rivelazioni di Putin sui ritiri disorganizzati hanno solo accresciuto i dubbi sulla capacità di Teheran di mantenere la sua influenza.
Nonostante i tentativi di Khamenei di mettere a tacere il dissenso e preservare la narrazione del regime, le ricadute dei suoi errori strategici continuano ad alimentare la resistenza in patria e all’estero. La crescente disillusione tra i suoi ranghi e la rabbia dell’opinione pubblica per anni di cattiva gestione possono essere il punto di svolta nella lotta per la sopravvivenza del regime di Teheran.