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Otto Marzo 2014, Festa della libertà

di Esmail Mohades

L’opinione, 8 Marzo 2014 – In un pomeriggio parigino d’inizio marzo, con un sole che stenta a riscaldare e che lotta con le reminiscenze invernali, ti ritrovi in uno spazioso padiglione alla periferia parigina, il Dock Eurosites, stracolmo di una variopinta popolazione femminile e non solo.

All’inizio fai fatica ad enumerare e riconoscere tutte quelle presenze che arrivano dai cinque continenti. Ti chiedi cosa ci facciano tutte queste donne, tutte queste personalità di genere femminile alla “Festa della Resistenza iraniana”. La festa della donna è la Festa della Resistenza iraniana. Il Consiglio Nazionale della Resistenza iraniana (Cnri), il cui presidente è una donna, Maryam Rajavi, ogni anno organizza un’iniziativa dove numerosissime donne di ogni parte del globo discutono a proposito della questione femminile.

Quest’anno la festa si è tenuta il 1° marzo ed è stata Sarvnaz Chitsaz, presidente della Commissione delle donne del Cnri, a dare il benvenuto ai partecipanti. La questione femminile è stata sempre centrale per il Movimento della resistenza iraniana. Quando a metà degli anni Ottanta il regime khomeinista incredibilmente e con una repressione inaudita andava ad imporre il suo infausto dominio, la Resistenza iraniana, i Mojahedin del popolo, intuivano che la lotta per la democratizzazione del Paese, che passava attraverso il rovesciamento del regime teocratico, sarebbe stata lunga e durissima. Ci volevano idee e persone nuove e, soprattutto, energie nuove. L’organizzazione ebbe l’intuizione e diede le redini del potere e della sua gestione alle donne.

Le donne dei Mojahedin del popolo occupano il 100% delle responsabilità nell’organizzazione e nella lotta contro un regime che si contraddistingue da altre pur terribili dittature per la sua spiccata misoginia. Intendiamoci, non è che il regime sia tenero con gli uomini; il regime misantropo è in contrasto con l’umanità, ma di fronte al genere femminile esprime al massimo la sua natura. Secondo l’ideologia del regime al potere in Iran, le donne sinceramente valgono di meno. Le donne non possono viaggiare senza il permesso dell’uomo, non hanno diritto ad accedere a tutti i corsi universitari, non possono essere giudici o presidente della Repubblica, non hanno diritto al divorzio e all’affidamento dei figli, prendono metà dell’eredità e la loro testimonianza vale la metà rispetto a quella degli uomini. L’elenco può proseguire naturalmente. Nella pena della lapidazione applicata nella Repubblica islamica gli uomini sono infossati fino alla cintura, mentre le donne fino al petto. Il condannato alla lapidazione, qualora riuscisse a liberarsi durante il lancio di pietre, avrebbe la vita salva. Perciò anche di fronte a questa atroce morte, le donne subiscono la discriminazione. Non c’è da stupirsi quindi se le donne sono in prima fila e, nel caso del movimento dei Mojahedin del popolo, a capo della lotta contro il regime di Teheran. Questo movimento, nato nel 1965 contro la dittatura monarchica dei Pahlavi, quando fu imposta da Khomeini la dittatura islamica, comprese la doppia discriminazione che si abbatteva sulle donne e il ruolo rivoluzionario della presenza delle donne nei luoghi delle decisioni.

Dal 1985 tutti i dirigenti dell’organizzazione sono donne, e molti dei dirigenti della coalizione del Cnri, di cui i Mojahedin sono il gruppo principale, sono donne. Il Cnri, che funge da parlamento iraniano in esilio, è composto al 52% da donne e ha eletto la signora Maryam Rajavi come presidente della Repubblica per il periodo di transizione. Il movimento della resistenza al regime misogino ha applicato la discriminazione positiva a favore delle donne. Oggi nelle file della Resistenza iraniana l’apporto delle donne è una realtà a cui nessuno pensa che si possa più rinunciare. È idea radicata nel movimento che la liberazione degli essere umani passerà attraverso la liberazione delle donne. Che il regime iraniano al potere non abbia futuro è evidente e lo si può vedere, per chi non è cieco, da molti segnali; ma è soprattutto nel rapporto con la donna che mostra tutta la sua inadeguatezza. Maryam Rajavi nel suo intervento al Dock Eurosites ha affermato: “Se i mullah abbandonassero la loro misoginia, la teocrazia al potere collasserebbe. Perciò, né Khatami né Rouhani, che hanno lanciato un’accattivante offensiva di riforme e moderazione, non si azzardano neanche ad alleggerire la repressione e la sottomissione delle donne”.

L’occasione della festa della donna organizzata a Parigi dalla Resistenza iraniana ci induce a riflettere sul perché e come il peggior regime teocratico di oggi abbia trasformato un grande e civile Paese come l’Iran nell’epicentro dell’integralismo religioso e ci interroga sulle responsabilità del mondo civile e sul suo sostanziale silenzio. Se il principale strumento di oppressione del regime è la misoginia, non deve essere una sorpresa che proprio dalle persone più represse, le donne, dovrà venire fuori l’alternativa per un radicale cambiamento.

Per gli ammiratori occidentali “senza se e senza ma” del regime iraniano che s’arrampicano sull’insulso balletto del “moderatismo-riformismo- oltranzismo” di un regime fuori dal tempo, basti ricordare che una serie di decreti del governo dell’urlatore Ahmadinejad sono diventati legge nel governo del poliziotto Rouhani: si tratta di leggi che consentono ad un uomo di sposare le sue figlie adottive; che stabiliscono le quote di accesso all’università per le donne; che applicano la segregazione sessuale nelle università; e che proibiscono alle donne di studiare in decine di facoltà universitarie. I rappresentanti dei governi occidentali possono recarsi, con o senza velo in testa, alla corte di un regime disumano: avranno vantaggiosi contratti economici, ma anche la maledizione di milioni di iraniani schiacciati da un potere usurpatore. Molti mass media occidentali possono confondere il popolo iraniano col regime oppressore.

Saranno, in un futuro non lontano, le donne iraniane a guidare l’archiviazione del regime misogino con tutti i suoi variopinti e avidi sostenitori. Perché il futuro, non solo mediorientale, è delle donne. E per fortuna!

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