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Iran – Rimini: Al Meeting anche i resistenti iraniani lanciano il loro appello

 l'Ue ci tolga dalla "black list"

ImageIl sussidiario.net, 26 agosto 2008 – Nella definizione stessa di “Meeting per l’amicizia tra i popoli” è presente la vocazione internazionale dell’evento riminese. Ieri questa apertura al mondo e ai problemi connessi alla pace a livello internazionale è stata al centro dell’incontro “Le condizioni della pace”, con il ministro Frattini, il segretario della Lega araba Moussa, il Cardinal Tauran e il vicepresidente del Parlamento europe Mario Mauro. Tra il pubblico presente all’incontro anche alcuni rappresentanti dei “mujaheddin del popolo iraniano”, appartenenti Consiglio nazionale della resistenza iraniana (CNRI): movimento dalla storia certamente controversa, ma che oggi rappresenta comunque una voce di dissenso nei confronti del duro regime di Ahmadinejad. Ilsussidiario.net ha raggiunto Mahmoud Hakamian, membro della Commissione esteri del CNRI.

Hakamian, perché avete deciso di essere presenti al Meeting di Rimini?

Noi guardiamo con estremo interesse al dibattito che qui al Meeting si svolge intorno al tema della pace. Come ben sapete in Iran non c’è democrazia, non c’è libertà: c’è un governo che sotto il nome dell’Islam ha deciso di eliminare democrazia, libertà e sviluppo economico. Il 70% degli iraniani, secondo stime ufficiali, vive sotto la soglia della povertà, il che è inconcepibile per il terzo Paese al mondo esportatore di petrolio, e il secondo esportatore di gas. Il motivo è semplice: i soldi sono spesi in armamenti e nel finanziamento del terrorismo in tutti gli altri Paesi del Medio Oriente.

Dunque la situazione del vostro Paese si riflette direttamente sulle “condizioni della pace” di cui si è parlato qui al Meeting.

Il problema principale è proprio il fatto che la mancanza di democrazia nel nostro Paese crea una minaccia in tutto il mondo. Quello che succede in Medio Oriente aumenta perché in Iran non c’è democrazia, e c’è un regime che vuole esportare questo modello anche all’esterno. Ecco perché, secondo noi, finché non ci sarà democrazia in Iran non sarà possibile risolvere i problemi nel resto del Medio Oriente. Se un regime come quello iraniano, ad esempio, dispone dell’atomica, questo ha evidentemente conseguenze catastrofiche, non solo per il Medio Oriente ma anche per l’Europa e l’Occidente tutto.

Lei è membro del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (CNRI): qual è la situazione dei vostri rapporti con l’Unione europea?

Il CNRI è una coalizione di gruppi di resistenti, comprendente gruppi islamici, cristiani, laici, marxisti; il gruppo principale sono i “mujaheddin del popolo iraniano”. Nel 2001 l’allora presidente Khatami trovò un accordo con il ministro degli esteri inglese Jack Straw, in base al quale, per assicurare la prosecuzione dei buoni rapporti economici, sollecitò il governo inglese a dare forti limitazioni all’opposizione iraniana, bloccandone l’attività politica e i fondi. Per questo il nostro gruppo fu inserito nella “black list” dei terroristi. In seguito la Gran Bretagna ha convinto l’Ue a inserirci nella lista nera.

Voi come avete reagito?

Dopo questa decisione ingiusta abbiamo iniziato una lotta politica e giuridica. Finalmente, dopo cinque anni, il 12 dicembre 2006 la Corte di giustizia di Lussemburgo con una sentenza ha decretato che la nostra organizzazione lotta per la democrazia e che non c’è dunque alcun motivo per inserirla nella “black list”. Nonostante ciò, e anche dopo la risoluzione del Parlamento europeo sulla stessa linea, il consiglio dei ministri dell’Unione europea ha rinnovato la nostra iscrizione alla lista nera.

Chi, secondo lei, ha interesse ora a mantenervi nella lista?

In un primo momento, come detto, erano gli inglesi. Poi però, dopo una lunga pressione da parte nostra, e anche grazie all’aiuto di un gruppo di parlamentari inglesi, quest’anno l’Inghilterra ci ha finalmente tolti dalla lista. Noi ci aspettavamo che questo accadesse anche a livello europeo. Invece così non è stato.

Perché, secondo lei?

Abbiamo avuto notizia che il governo iraniano ha fatto pressione sulla Francia, a causa dei rapporti tra la compagnia Total e l’Iran. I francesi allora hanno portato una serie documenti, che noi giudichiamo falsi, sulla base dei quali hanno convinto l’Ue a lasciarci nella lista.

Perché Sarkozy, che ha una posizione differente rispetto al precedente presidente Chirac, non ha impedito questo?

Sarkozy ha effettivamente una posizione migliore rispetto a quella di Chirac, perché più chiaramente contraria al regime iraniano. Ma naturalmente rimangono altre persone influenti, non solo nel governo, che hanno portato avanti vittoriosamente la loro posizione.

La cancellazione della vostra organizzazione dalla lista nera, oltre all’effetto positivo per voi, che altri risultati avrebbe, soprattutto all’interno dell’Iran?

La cancellazione sarebbe un grande segnale da parte dei Paesi europei nei confronti del regime iraniano, segno di una posizione di fermezza contro la politica di Ahmadinejad. Il regime iraniano, infatti, si serve proprio della nostra collocazione nella “black list” come alibi per giustificare la repressione dura contro ogni forma di opposizione. Inoltre, la cancellazione dalla lista significa legittimare la nostra resistenza come alternativa al regime iraniano.

Un’ultima parola su Ahmadinejad: qual è la sua forza e la sua reale autorità?

Il vero potere in Iran è in mano al capo spirituale, Khamenei: è lui che decide, sia per quanto riguarda il nucleare che per tutta l’azione terroristica. Ahmadinejad è l’uomo a lui più fedele, completamente nelle sue mani. Khatami aveva forse punti di disaccordo con Khamenei, ma comunque anch’egli non poteva fare nulla. Ahmadinejad è invece al 100% l’uomo di Khamenei, l’uomo che egli ha scelto proprio per portare avanti il progetto sul nucleare iraniano.

 

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