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Iran- Rajavi: Con l’Iran, solo la fermezza può impedire la guerra

Le Monde , 06 Marzo – da parte di Maryam Radiavi

ImageDecidendo il deferimento del dossier nucleare della teocrazia iraniano al Consiglio di sicurezza, il mondo ha appena superato un passo decisivo di fronte ad un potere fuori norma. Ma rimane un lungo cammino da fare fino all’adozione di una politica giusta ed efficace.

 Arriviamo alla fine di sedici anni di politica di accondiscendnza dei governi occidentali nei confronti dei presidenti Hachemi Rafsandjani e Mohammad Khatami, e di tre anni di negoziati intensi, ma sterili, con la troika europea.Questa politica non ha fatto altro che offrire alla guida suprema dei  mullah, Ali Khamenei, il tempo ed i mezzi per fare una scelta strategica: installare al potere le bande più fasciste, allacciare il ciclo nucleare ed esportare il suo integralismo in Medio Oriente.

 Dico bene Ali Khamenei, perché tutte le decisioni importanti sono prese in sua presenza al Consiglio supremo di sicurezza nazionale, predominato dai Pasdaran (guardie della rivoluzione). Mahmoud Ahmadinejad è la punta di diamante di questa scelta strategica. Il suo compito principale è garantire la sopravvivenza del suo regime dotandolo dell’arma nucleare, allegando  l’Iraq e sabotando il processo di pace nella regione. Teocrazia non ha alcuna capacità di riformarsi né a cambiare dall’interno.

 La dilazione accordata al regime ha permesso di completare i lavori nei siti nucleari di Isfahan e di Natanz e della fabbrica di produzione d’acqua pesante d’Arak. Fin dalla fine dell’anno prossimo, potrà produrre plutonio, che può servire alla fabbricazione della bomba. A Natanz, ha appena installato altri 5.000 centrifughe per arricchimento di uranio. Ha anche prodotto e conservato missili da 1.500 a 2.000 km di portata capaci di trasportare testate nucleari. L’ex segretario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale, incaricato dei negoziati con la troika europea, ha riconosciuto che, durante i negoziati, il regime ha ottenuto "grandi acquisizioni nei settori tecnologici, giuridici, politici, di comunicazione e di sicurezza nazionale." Siamo riusciti a recuperare il nostro ritardo nel nostro progetto nucleare (…) apparentemente, avevamo accettato la sospensione delle nostre attività, ma effettivamente abbiamo potuto riempire la maggior parte delle nostre lacune (…) noi abbiamo così ritardato la successione del Consiglio di sicurezza dell’ONU per almeno due anni (…) noi abbiamo ottenuto le più grandi concessioni nel settore della sicurezza "." (quotidiano ufficiale Keyhan del 23 luglio 2005).

 Questi diciotto anni di dissimulazione e questi tre anni di negoziati, dalla messa in funzione del programma nucleare iraniano, hanno messo sufficientemente in pericolo il mondo intero e la nazione iraniana. I mullah hanno spinto la regione sul bordo del precipizio. Da quando il dossier iraniano è stato deferito al Consiglio di Sicurezza, Mahmoud Ahmadinejad ha cercato di terrorizzare il mondo. La rimozione dei sigilli dell’agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA) dai siti nucleari, la prosecuzione dell’arricchimento d’uranio, la minaccia di ritirarsi dal TNP,  sono tutti mezzi  buoni per fare ricatto. Si evoca anche l’arma del petrolio e si bruciano le ambasciate europee a Teheran, per forzarle all’arretramento. Durante questo tempo sono continuate le interminabili manovre orchestrate dai mullah tra gli Stati Uniti, l’Europa, la Russia e la Cina.

  Teheran sfrutta  l’affare delle caricature offensive del profeta.
 Tengo a precisare  che all’indomani del deferimento del dossier atomico al Consiglio di Sicurezza non si poteva offrire migliore opportunità ad un regime che si trova in vicolo cieco. Tuttavia sono i mullah che hanno portato il maggior danno all’immagine dell’islam e del suo profeta.
Questo potere investe sulla sua capacità di impressionare et terrorizzare. Mette così la Comunità internazionale dinanzi ad una delicata scelta: cedere al ricatto adottando passi lenti e titubanti che offrirebbero del tempo ai mullah ed alla fine porterebbe inevitabilmente ad una guerra, o al contrario proseguire una  urgente politica di fermezza  per rimuovere gli ostacoli al cambiamento in Iran.

 Il primo atteggiamento mira a cambiare il comportamento del regime, ma si tratta di un miraggio che non tiene conto del principale insegnamento  dedotto dal fallimento della politica di accondiscendenza, cioè l’incapacità della teocrazia per modificare la sua natura. Sottovaluta anche la determinazione e la volontà di  Khamenei  per salvare il suo regime. Il secondo mira a colpire il cambiamento del  regime. Nel caso che i paesi interessati di fronte si ritirino di fronte alle violenti manifestazioni vendicative organizzate  dal regime, a  breve il mondo si troverà di fronte ad un califfato integralista  armato della bomba atomica.

 Il mondo ha dunque soltanto un atteggiamento logico da adottare, quella della fermezza. Ciò non vuole dire che non ci sarà nessun prezzo da pagare. Il prezzo del petrolio certamente aumenterà, interessi economici a breve termine potrebbero essere in pericolo. Ma la scelta è  tra il grigio ed il nero. Gli anni di ambizioni occidentali per trarre vantaggio dalla presenza dei  corrotti mullah a Teheran hanno eliminato ogni speranza di soluzione detta bianca o gratuita. Tuttavia non dimentichiamo che è il popolo iraniano che ha pagato quest’anni di piombo con un tributo di sofferenze e di sacrifici. Perdere tempo oggi, è andare diritto alla catastrofe. Una politica ragionata può allo stesso tempo limitare i danni ed evitare la guerra.

 Per recuperare il tempo perso, occorre decretare urgentemente un embargo in armi ed in petrolio, diplomatico e tecnologico, mirato a colpire questo potere. Il mondo deve sapere che il popolo iraniano si trova a suo fianco. Il 90 per cento di questo popolo chiede e desidera un cambiamento di regime, contrariamente a ciò che i mullah cercano di fare credere, non è mai stato favorevole al programma nucleare nel quale la dittatura religiosa spreca le ricchezze della nazione. Soprattutto quando le cifre ufficiali parlano oltre l’80% della popolazione sotto la soglia di povertà.

Ribadendo e sostenendo questa rivendicazione chiedo l’adozione diuna nuova politica a favore del popolo iraniano e della sua resistenza, ed a sostenere un cambiamento democratico in Iran. Affinché il cambiamento sia a portata della mano, occorre tradurre in giudizio, dinanzi ad un tribunale internazionale, i responsabili dei crimini e dei massacri. Occorre soprattutto rimuovere le ingiuste restrizioni  imposte alla resistenza, cioè  eliminare il nome della principale forza d’opposizione, l’organizzazione del Mujahedin del popolo iraniano (OMPI), dagli elenchi del terrorismo. Occorre permettere che la voce degli iraniani sia intesa e compresa e non assimilata con quella di suoi oppressori.

 MARYAM RAJAVI

 Maryam Raiavi, presidente della repubblica per il periodo transitorio, è stata eletta dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI)

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