venerdì, Marzo 29, 2024
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Il vero volto di Rafsanjani, L’Iran dopo Rafsanjani

Morto domenica all’età di 82 anni per un attacco cardiaco, l’ex-presidente iraniano Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, aveva una lunga storia alla guida delle letali misure del regime in patria e all’estero, come gli attacchi suicidi e l’eliminazione dei dissidenti in esilio. “Un’immagine simile è ben lontana dal “moderato” che i media occidentali hanno scoperto in lui”, ha scritto Amir Basiri su American Thinker il 10 Gennaio 2017. L’articolo prosegue così:

Rafsanjani era noto per il suo ruolo centrale nella politica iraniana. Dalla rivoluzione del 1979 in poi, si piazzò tra quelli della cerchia più ristretta del fondatore del regime e primo leader supremo Ruhollah Khomeini. Fu portavoce del parlamento del regime negli anni ’80 mentre, in parallelo agiva da inviato di Khomeini per sovrintendere alle operazioni nella guerra Iran-Iraq.

Con la morte di Khomeini e la fine della guerra, Rafsanjani assunse la carica di presidente nel 1989 ed ebbe un ruolo significativo nell’ascesa di Ali Khamenei a successore di Khomeini. Rafsanjani proseguì la sua vita politica presiedendo l’Assemblea degli Esperti, incaricata di nominare il leader supremo e che agisce da organo supervisore sul suo ruolo, e continuò con il Consiglio per il Discernimento prima della sua morte, sia consigliando Khamenei che ponendo fine ai conflitti tra l’ultra-conservatore Consiglio dei Guardiani e il parlamento.

Dopo gli otto anni della presidenza di Mohammad Khatami, nel 2005 Rafsanjani fece un tentativo per reclamare questa posizione. Questa campagna finì con un’umiliazione quando Mahmoud Ahmadinejad assunse la presidenza. Negli otto anni che seguirono Rafsanjani criticò pubblicamente e denunciò le politiche e le azioni di Ahmadinejad, prendendo le distanze dagli intransigenti e cercando ancora di presentarsi come un “riformista” che favoriva calorose relazioni con l’Occidente.

Nonostante le gravi differenze e la rivalità di potere e influenza, Khamenei aveva compreso in pieno di aver bisogno di Rafsanjani come fattore stabilizzatore e non lo aveva mai potuto eliminare completamente. La morte di Rafsanjani ora viene valutata come la perdita di un pilastro fondamentale per l’intero regime, come ha spiegato la leader dell’opposizione Maryam Rajavi, presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI).

Maryam Rajavi lo ha dichiarato in un comunicato domenica, definendo la morte di Rafsanjani “la caduta di uno dei due pilastri e l’elemento equilibratore del fascismo religioso al potere in Iran”.

“Rafsanjani, che era sempre stato il numero due del regime, agiva da fattore equilibratore ed ha avuto un ruolo decisivo nella sua salvaguardia. Ora il regime perderà il suo equilibrio interno ed esterno”, ha aggiunto, prevedendo anche “un avvicinamento alla caduta” del regime dei mullah.

Per 38 anni Rafsanjani “ha avuto un ruolo cruciale nella repressione in patria e nell’esportazione del terrorismo all’estero, nonché nella corsa all’acquisizione delle armi nucleari”, ha sottolineato Maryam Rajavi.

Nel 2006 il procuratore federale argentino Alberto Nisman presentò una denuncia contro Rafsanjani per il suo ruolo in uno dei più terribili attacchi terroristici sponsorizzati dall’Iran all’estero, l’attentato suicida del 1994 nel quale un camion bomba colpì l’AMIA Jewish community center di Buenos Aires. L’enorme esplosione rase al suolo l’intero fabbricato, provocando la morte di 85 persone e il ferimento di altre centinaia. Gli investigatori emisero mandati d’arresto specificatamente contro Rafsanjani ed altri importanti esponenti del regime iraniano.

Rafsanjani inoltre ordinò numerosi omicidi di dissidenti in esilio, tra cui quello dell’ex-ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite ed illustre attivista per i diritti umani, il Dr. Kazem Rajavi. Assassini iraniani lo uccisero nel 1990 nei pressi della sua casa di Ginevra. Gli investigatori svizzeri hanno accusato Teheran e le autorità hanno emesso mandati di arresto per il capo delle spie di Rafsanjani, Ali Fallahian.

L’omicidio del Marzo 1993 del quarantaduenne inviato del CNRI a Roma, Mohammad Hossein Naghdi avvenuto nella capitale italiana e quello del Febbraio 1996 dell’inviata del CNRI per la questione dei rifugiati Zahra Rajabi avvenuto ad Istanbul, furono anch’essi ordinati da Rafsanjani.

Inoltre egli ebbe un particolare odio verso l’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI/MEK), l’entità centrale nel gruppo di coalizione del CNRI.

“Quattro regole sono un must per (i membri del MEK): 1– Essere uccisi. 2 – Essere impiccati. 3 – Che gli siano amputate braccia e gambe. 4 – Che vengano separati dalla società”, disse Rafsanjani nel 1981. Quale braccio destro di Khomeini, Rafsanjani supervisionò anche il massacro dell’estate del 1988, mandando al patibolo 30.000 prigionieri politici in tutto l’Iran.

Rafsanjani è stato un elemento equilibratore nel corso dei quattro decenni passati. Tutto il regime nel suo complesso ha subito una enorme sconfitta e andrà scemando lungo la strada.

L’obbiettivo di Khamenei sarà quello di impedire che questo fatto deflagri in una incontrollabile svolta di eventi per l’intero establishment.

Considerando l’atteggiamento di questo regime in passato, c’è una grossa probabilità che i mullah di Teheran ricorrano ad un aumento dei loro sforzi per diffondere la violenza, esportare l’estremismo e il terrorismo e promuovere il fondamentalismo islamico nella regione e anche oltre.

 

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