giovedì, Marzo 28, 2024
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Iran: la Mojahedin Ateneh, ‘così a Teheran ci opponiamo al regime’

iran uprising youth streets 1

Parla una dissidente nella capitale, ‘lottiamo per un Paese democratico’
Teheran, 30 gen. (Adnkronos)
(Rak/Adnkronos)
Fa parte delle “unità di resistenza” dei Mojahedin del Popolo che lottano per un Iran “democratico” ed è disposta a sacrificare la sua vita per abbattere un regime “illiberale” che ha arrestato e sottoposto a “torture e maltrattamenti più di 3mila persone” solo dall’inizio della rivolta per la morte in custodia di Mahsa Amini. Ateneh ha 29 anni, vive a Teheran dove lavora come impiegata, e ha accettato di rilasciare un’intervista all’Adnkronos nonostante i rischi per la sua sicurezza. Se dovesse essere scoperta, infatti, rischierebbe la pena di morte per la sua ‘infedeltà’ alla Repubblica islamica.
“Ho partecipato alla maggior parte delle manifestazioni” antigovernative per Mahsa e “ne sono felice”, premette la giovane, che spiega il suo ruolo all’interno delle “unità di resistenza” ovvero “organizzo gli slogan ed altri aspetti collegati alle proteste”. Durante l’intervista precisa di non poter rivelare i dettagli delle azioni del suo gruppo che per forza di cose agisce nell’ombra, né rivela contro quali obiettivi concentrino le loro azioni o conferma contatti con i servizi segreti di Paesi occidentali o arabi, come Teheran denuncia. I Mohajedin, infatti, sono considerati un’organizzazione terroristica dalle autorità iraniane che accusano i suoi membri di aver tradito il Paese, schierandosi con l’Iraq di Saddam Hussein durante la cosiddetta ‘Guerra Imposta’ degli anni Ottanta.
“Falsa propaganda” la bolla Ateneh, secondo cui, il movimento a cui appartiene ha in realtà un seguito ad ogni livello. “Le unità della resistenza sono ovunque ed i suoi membri sono studenti, insegnanti, impiegati oppure semplicemente amici che la pensano come noi e che si oppongono a questa repressione brutale”, prosegue, sottolineando che lei ed i suoi compagni “agiscono in segreto”.
Malgrado “non passi giorno senza che le radio e le tv del regime scrivano o diffondano notizie contro i Mojahedin” allo scopo di “evitare che i giovani si uniscano alla resistenza” e che le proteste continuino, la 29enne rivendica un certo seguito tra la popolazione, come dimostra il fatto che “molte persone, specialmente durante l’ultima rivolta, hanno aperto le loro case per nascondere i dissidenti e fornito loro ogni tipo di aiuto, coprendo anche il lavoro dei medici che curano i feriti”.
Ma qual è l’obiettivo per cui Ateneh è disposta a mettere a repentaglio la sua vita? “Il nostro progetto ha ampio supporto internazionale. Vogliamo istituire una repubblica democratica basata sulla separazione della religione dello Stato, sulla libertà religiosa, sull’uguaglianza tra uomo e donna in tutti i campi, anche nella leadership”, replica, ricordando che i Mohajedin si sono già dotati di un Consiglio nazionale della resistenza composto da quasi 500 membri e guidato da una donna “eletta”, Maryam Rajavi, che è diventata “un punto di riferimento” per chi milita nella resistenza. L’obiettivo, insiste la giovane, è arrivare a fondare un’assemblea costituente sotto lo slogan “né dittatura né monarchia”.
Ateneh evidenzia come oggi in Iran la parola mojahedin sia “vietata” e sebbene “il regime abbia fatto il massimo per distruggere quest’organizzazione, giustiziando più di 120mila membri e uccidendo centinaia di esponenti all’estero, non è riuscito ad eliminarci”.
La giovane precisa che “i Mohajedin non hanno un’affiliazione ad alcun governo, né occidentale né orientale o arabo. Ed è grazie a questa posizione che abbiamo mantenuto la nostra indipendenza e che siamo così popolari tra le persone”.
Ateneh vuole inviare quindi un “messaggio al governo italiano e a tutti quelli occidentali” ossia che “questo regime commette crimini da 43 anni e da 43 anni noi ci opponiamo per realizzare la democrazia ma a costo del sacrificio di tantissime vite umane”. Purtroppo, aggiunge, “alcuni governi occidentali non ci danno il sostegno politico di cui abbiamo bisogno” e “continuano a fare affari con questi assassini”.
Le richieste sono molto semplici. “Non vogliamo che l’Occidente o i governi arabi rovescino il regime mettendo al suo posto alternative ‘fake’ o personaggi a loro volta collusi con la dittatura dello Shah o con quella religiosa attuale – conclude – Chiediamo solo che richiamino i loro ambasciatori interrompendo le relazioni con questo regime, il rilascio di tutti i prigionieri arrestati durante le rivolte e il riconoscimento del diritto alla difesa e alla resistenza del nostro popolo. Non vogliamo altro. Né denaro né sostegno militare”.

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