venerdì, Marzo 29, 2024
HomeNotizieArticlesIran-Resistenza: L'Occidente è capace di rispettare i suoi principi e valori?

Iran-Resistenza: L’Occidente è capace di rispettare i suoi principi e valori?

La rivista I diritti dell’uomo

organo dell’Unione forense per la tutela dei diritti dell’uomo
direttore Mario Lana

ImageDi Esmail Mohades

 Ci sono realtà drammatiche che vengono coperte dagli eventi, dagli interessi economici e politici, ma conservano tutta la loro drammaticità. Una di queste realtà è la situazione iraniana,  di un popolo che si batte contro un regime duro e oppressivo che gli aggettivi sono del tutto incapaci di  descrivere.

Esiste un diritto alla resistenza contro l’oppressione?  Il Diritto alla Resistenza teorizzato e concepito,  a partire dal XVIII, da Grozio, Locke, Rousseau e Condorcet, come diritto naturale di gruppi sociali organizzati o di tutto il popolo ad opporsi con ogni mezzo, contro l’esercizio tirannico e abusivo del potere statale, vale ancora? Parliamo di quella Resistenza che fu posta in essere in Europa contro il nazifascismo. Parliamo anche di una situazione internazionale assai confusa e violenta, dove il danno più grave è che le parole acquisiscono senso e significati monchi e malati, sospetti e scuri, e soprattutto non univoci. Resistenza, libertà, sicurezza e molte altre parole che hanno contribuito alla costruzione della nostra civiltà, oggi, si mescolano e appaiono in grande confusione. 

La Resistenza contro l’oppressione tirannica ha una lunga e nobile tradizione, presente già nell’Antigone di Sofocle, e che fonda le sue radici nel giusnaturalismo, il quale si contrappone all’opposto principio della machiavellica ragion di stato. Il diritto alla Resistenza trova giustificazione nello stesso contratto sociale, come garanzia per il popolo contro le violazioni da parte del sovrano.
Nella letteratura giuridica,  il pensiero classico espresso ne “La lotta per il diritto”  del giurista Rudolf Van Jhering, scritto nel 1872,  sottolinea la necessità che ciascuno resista sempre alle violazioni del diritto.
Nello stato di diritto, la norma morale è il principio normativo della disobbedienza nei riguardi di leggi che contraddicono e compromettono i fondamenti di legittimazione interna ed esterna dell’ordinamento. Nello stato di Diritto, il fondamento morale e politico giustificante risiede non già nel dovere morale dell’obbedienza, ma, nei casi estremi, nel diritto-dovere morale della disobbedienza qualora le leggi entrino in conflitto radicale con i valori universali e fondamentali.

Il filosofo Noberto Bobbio definisce bene il significato di disobbedienza, ritenendo che la disobbedienza moralmente consentita è quella “condizionata” che dipende “dal giudizio che la coscienza morale e politica di ciascuno dà autonomamente   delle leggi ingiuste”. Vale a dire che “una volta riconosciuto che una legge è in conflitto con i valori fondanti, ciascuno ha l’obbligo morale di disobbedirle”.  Secondo Bobbio, la disobbedienza civile e la resistenza sono atti che mirano in ultima istanza a mutare l’ordinamento, atti non distruttivi ma innovativi. Se è vero che il legislatore ha diritto all’obbedienza della legge, è altrettanto vero che il cittadino ha diritto ad essere governato saggiamente. Quindi tra  cittadino e legislatore esiste un rapporto di reciprocità.
Nella storia non mancano i casi di resistenza, dalla Rivoluzione americana alla resistenza europea. La Costituzione francese del 1793 stabiliva che “la resistenza è il corollario degli altri diritti dell’uomo e che quando il governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione diviene per il popolo il più sacro dei diritti e il più necessario dei doveri” (art. 35). Tali disposti sono conformi all’affermazione riportata all’art. 2 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del cittadino del 1789 secondo cui: “lo scopo di ogni organizzazione è la conservazione dei diritti naturali ed imprescindibili dell’uomo. Essi sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”.

La stessa Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America del 5 luglio 1776 afferma: “Noi riteniamo che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che il Creatore ha fatto loro il dono di determinati inalienabili diritti, che ogni qualvolta una determinata forma di governo giunga a negare tali fini, sia diritto del popolo il modificarla o abolirla, istituendo un nuovo governo che ponga le basi su questi principi. Allorché una lunga serie di abusi e di torti tradisce il disegno di ridurre l’umanità da uno stato di completa sottomissione, diviene allora suo dovere oltre che suo diritto, rovesciare un tale governo”.
La legittimità della resistenza è data da  una situazione di intollerabile oppressione che può essere rimossa soltanto ripristinando il valore-principio della convivenza, o imponendo un più alto valore-principio coerente con le ragioni di una stabile e migliore convivenza. Si tratta, allora di un estremo rimedio contro atti o attività di soggetti politico-istituzionali che si rivelino  oppressivi o comunque in spregio agli irriducibili valori originari di giustizia che conferiscono legittimità e identità al sistema ordinamento.
Si possono definire terrorismo tutte le azioni compiute nell’ambito di lotte armate? Oppure  terrorismo, a prescindere dalle sue motivazioni, sono quelle azioni armate che spargono il terrore tra la popolazione civile? Sia chiaro, la resistenza non colpisce mai e poi  mai dei civili, bensì soldati armati o forze dittatoriali, insomma il braccio operativo dell’oppressione.

Nel caso del regime teocratico dell’Iran, sono numerose le violazioni poste in essere rispetto ai principi universalmente riconosciuti dalla Convezione per la salvaguardia dei diritti umani dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950,  dal Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, dal  Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1999, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000ed infine dalla nuova Costituzione europea firmata a Roma il 29 ottobre 2004. Sono innumerevoli le denunce fatte contro il regime iraniano che impunemente infrange su vasta scala, i principi che fondano l’ordinamento giuridico dell’Ue. La stessa Ue  esprime “seria preoccupazione per le gravi violazioni da parte del governo iraniano” soprattutto nel settore dei diritti umani, condannando espressamente il numero troppo alto dell’uso della pena di morte, anche contro i minorenni, della tortura, delle persecuzioni delle minoranze etniche e religiose. Anche nel rapporto “Patterns of a global terrorism”  si ribadisce che “l’Iran rimane il più attivo tra gli stati che appoggiano il terrorismo”. Così la Commissione dei Diritti dell’Uomo sulle violazione in Iran, dichiara che tale stato è lontano dai principi del diritto internazionale. Insomma,  organismi di varia natura hanno certificato più volte che il regime religioso iraniano è coinvolto nella progettazione e nel supporto di atti terroristici e continua ad esortare gruppi terroristici e a disegnare atti  terroristici per conseguire i propri obiettivi. Bisogna, inoltre,  ricordare che ciò è accaduto all’interno dell’Iran ci vorranno decenni per poterlo solo elencare. Il fatto che la tragedia iraniana non abbia la giusta eco sui mass media deve essere  oggetto di riflessione. Nell’estate dell’88 il regime iraniano decise di risolvere il problema di migliaia di prigionieri politici: ebbene, li eliminò a decine di migliaia  nel giro di alcuni giorni.
Sulla base delle precedenti considerazioni appare contraddittorio l’inserimento nella lista dei gruppi terroristici proprio del principale gruppo che si batte contro siffatto regime, cioè i Mojahedin del Popolo.  Questo inserimento non solo contrasta la stessa posizione politica assunta dai paesi democratici nei confronti del regime iraniano, ma determina verso la resistenza iraniana condizioni di persecuzione anziché di sostegno.  In tal modo l’Europa si discosta da quei principi e da quei valori che ha inteso invece riaffermare.

È noto come l’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (Pmoi) sia il più attivo e ampio movimento di opposizione in Iran e la principale organizzazione,  insieme ad altre, del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (Cnri). Il movimento dei Mojahedin del Popolo ha sviluppato, in quarant’anni, un’interpretazione democratica dell’Islam, che si contrappone al fondamentalismo religioso, improntata, in particolare, alla valorizzazione del ruolo delle donne, riconoscendo l’eguaglianza tra donne e uomini. Nelle fila della Resistenza Iraniana ci sono ancora persone, scampate dalla violenza del regime, che hanno sentito direttamente dalla bocca di Masud Rajavi, responsabile del Cnri,  dire ai suoi combattenti che tra il rischio per un civile e la vita di un combattente bisogna scegliere senza indugi la sicurezza del civile, anzi proprio la sicurezza del “civile” è l’obiettivo della lotta. Masud Rajavi ha, inoltre,  dichiarato che se le forze di resistenza avessero colpito un civile, tutta la resistenza avrebbe avuto il dovere di risponderne davanti alle autorità internazionali di competenze. Lo stesso Rajavi sin dal principio della resistenza contro il regime dei mullà ha dichiarato che quando il regime avesse accettato libere elezioni, sotto l’egida delle Nazioni Unite, sarebbero cadute le condizioni da cui nasce la resistenza stessa e le forze resistenti avrebbero deposto immediatamente le armi. Nelle sedi propriamente giudiziarie, di Parigi, di Roma o tedesche, quando hanno dovuto giudicare i membri dei Mojahedin del Popolo o i loro simpatizzanti,  la sentenza ha dato luogo alla loro piena estraneità al terrorismo. Quando i vari organismi dell’Amministrazione statunitense hanno indagato a fondo, per sedici mesi, su ognuno dei combattenti dei Mojahedin del Popolo al campo di Ashraf in Iraq, è risultata la completa estraneita’ di tutti i membri dei Mojahedin del Popolo ai fatti terroristici. Le stesse forze di coalizione in Iraq lo hanno dichiarato il 2 luglio 2004.

Il programma politico del Cnri consiste nell’adesione incondizionata alla Carta delle Nazione Unite, alle Convezioni ed ai Trattati internazionali, alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo ed alle convezioni che riconoscono la libertà nella società civile. Il Pmoi crede alla libertà come un ideale a cui ispirarsi. Il Cnri vuole la  separazione tra stato e religione, accetta  il mercato e considera i rapporti con altri paesi  come necessario  alla ricostruzione dell’Iran, si oppone alla proliferazione nucleare e alla produzione di armi di distruzione di massa. I Mojahedin del Popolo sostengono che solo e soltanto elezioni libere e popolari siano la fonte di legittimazione del potere politico, nei fatti dimostrano che non esiste alcuna contraddizione tra l’Islam e la civiltà moderna, tra l’Islam e i valori di una società democratica, tollerante e pluralista.
Le attività dei Mojahedin del Popolo sono state più volte riconosciute come quelle di una “forza di resistenza legittima” dalla maggioranza dei parlamenti statunitensi, britannici, belgi, lussemburghesi e italiani e da migliaia di rappresentanti dei popoli europei.

L’illegittimità dell’inserimento nella lista dei Mojahedin del Popolo si profila sotto diversi aspetti. In primo luogo in quanto indifferente al sacrosanto diritto di autodeterminazione e di resistenza contro l’oppressione. In secondo luogo perché la procedura della formazione della lista stessa è deficitaria sotto il profilo delle garanzie e dei diritti di difesa.
Sotto un profilo prettamente tecnico, non si può ignorare il grave vuoto garantistico generato dal sistema delle liste, essendo inconcepibile l’applicazione di sanzioni pregiudizievoli, invasive e limitative nei confronti di tali soggetti, omettendo al contempo di attenersi al rispetto dei principi giuridici che assicurano un giusto processo, il contraddittorio processuale, il diritto ad essere giudicati dal giudice naturale precostituito dalla legge, sopportata da una serie di convezioni internazionali. Tuttavia, la procedura di inserimento non prevede, in favore dei soggetti individuati, alcuno strumento di difesa, di informazione e tanto meno di intervento nel procedimento.

L’iter per l’inserimento nella lista avrebbe dovuto imporre l’apertura di un procedimento che doveva garantire il rispetto del contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa da parte degli organi rappresentativi dei Mojahedin del Popolo, che al contrario, sono stati completamente ignorati.
Il significato politico dell’inserimento nella lista non è più giustificabile allorquando la stessa, anziché limitarsi a rappresentare una mera presa di posizione da parte di un’istituzione nei confronti di una specifica questione, vada a costruire l’atto al quale sono riconnesse conseguenze giuridiche.
Il significato politico è stato rivelato dall’AFP nell’ottobre 2004 quando è emerso il punto fondamentale della bozza del negoziato tra la troika  europea e il regime iraniano, dove si diceva  che se il regime rinunciava all’arricchimento dell’uranio, l’Ue avrebbe tenuto i Mojahedin nella lista dei gruppi terroristici.
Quando una civiltà, quella occidentale, nega il diritto di resistenza ad un popolo, il diritto con il quale si fonda quella civiltà stessa, la negazione, oltre ad essere profondamente ingiusta, è una distruzione della civiltà stessa.

Il processo per la democrazia in Iran non è nato ieri, ma da un secolo. La prima seduta del Parlamento iraniano, frutto della lotta del popolo, fu il 7 ottobre 1906, giusto cento anni fa. Molte volte una politica ottusa dell’Occidente ha preso la parte del deposta in Iran, trascurando il desiderio democratico del popolo, perdendo l’onore. Ma questa volta con l’inserimento dei Mojahedin del Popolo ostacola il processo democratico in Iran, aiuta il regime integralista e guerrafondaio. Perde l’onore ed avrà la guerra.

Esmail Mohades
Portavoce dell’Associazione dei laureati iraniani in Italia

FOLLOW NCRI

70,088FansLike
1,632FollowersFollow
42,222FollowersFollow