Il 3 luglio, in una rara ammissione, il leader supremo del regime teocratico, Ali Khamenei, ha riconosciuto lo schiacciante boicottaggio da parte del popolo iraniano nelle recenti elezioni presidenziali farsa. Intervenendo dopo un silenzio di cinque giorni, Khamenei ha dichiarato: “Nel primo turno delle elezioni, la partecipazione popolare è stata inferiore a quanto ci aspettavamo e prevedevamo. Varie persone avevano stime diverse sulla partecipazione, ma tutte erano più elevate di quanto realmente accaduto”.
Esprimendo preoccupazione per la potenziale interpretazione di questo boicottaggio da parte sia dei suoi sostenitori che dei suoi avversari, Khamenei ha aggiunto: “È un presupposto completamente sbagliato pensare che coloro che non hanno votato al primo turno siano contro lo Stato”.
Durante le finte elezioni presidenziali del 28 giugno, il Quartier Generale Sociale dei Mojahedin del Popolo (OMPI/MEK) ha monitorato oltre 14.000 seggi elettorali in tutto l’Iran. Secondo le sue osservazioni sul campo e nonostante le estese frodi, ha riferito che hanno partecipato meno di 7,4 milioni di persone, solo il 12% degli aventi diritto al voto. Ciò indica che l’88% degli iraniani ha boicottato le elezioni, rifiutando il regime di Khamenei e segnalando il proprio desiderio di rovesciare la dittatura religiosa.
Il 3 luglio, in un appello ai suoi sostenitori e agli impoveriti affiliati del suo regime, Khamenei li ha esortati a partecipare all’imminente secondo turno di elezioni di venerdì 5. “Lo abbiamo detto più volte: la partecipazione del popolo è un sostegno al sistema, un motivo di orgoglio. La seconda fase delle elezioni è importante. Coloro che amano l’Islam e la Repubblica Islamica dovrebbero dimostrarlo partecipando alle elezioni” – ha implorato.
Khamenei ha inoltre cercato di giustificare la bassa affluenza alle urne, affermando: “Molte persone hanno problemi, lavoro e impegni, e non hanno potuto partecipare per vari motivi. Si spera che, nella seconda fase, l’affluenza popolare sia entusiasta e motivo di orgoglio per il sistema”.
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Le sue osservazioni hanno rivelato un significativo indebolimento della sua posizione attuale. Tradizionalmente, Khamenei proclamerebbe la “vittoria” e reclamerebbe “un’affluenza epica” dopo le elezioni. Tuttavia, in questo discorso ha ammesso: “Potrebbero esserci alcuni a cui il sistema non piace affatto”. Ha sostenuto che questi individui esprimono liberamente le loro opinioni e che il governo è consapevole dei loro sentimenti.
Nel frattempo, commenti e analisi di media affiliati al regime hanno evidenziato lo stato precario della dittatura clericale a Teheran.
Il quotidiano “Farhikhtegan”, di proprietà di un consigliere di Khamenei, Ali Akbar Velayati, ha citato un dibattito tra i candidati al ballottaggio, Saeed Jalili e Massoud Pezeshkian. “Le aspettative per un dibattito innovativo non sono state soddisfatte. Il dibattito per il secondo turno non è stato significativamente diverso dai noiosi dibattiti del primo turno. Nessuna delle due parti intendeva affrontare apertamente questioni delicate” – ha osservato il giornale.
Questo giornale vicino allo Stato ha affermato, inoltre, che lo scopo dei dibattiti e delle osservazioni apparentemente di rottura dei tabù era mera postura e vuota pubblicità per aumentare la partecipazione e mostrare la forza sociale del regime. L’articolo continuava: “Anche il riferimento a qualche cattiva condotta elettorale da parte di ciascun candidato non ha riscaldato il dibattito. Jalili ha evitato risposte dirette, impiegando molto tempo. La retorica di Pezeshkian non si è allontanata dalle politiche generali dello Stato, il che potrebbe costargli parte del suo sostegno al primo turno”.
Khamenei’s Latest Attempt to Dictate Outcome of #Iran’s Sham Presidential #Electionhttps://t.co/WCAg2OdEhg
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L’ex impiegato dei media statali Hassan Dehbashi, ora autoproclamato critico, ha commentato su X: “Javad Zarif ha detto che il ruolo del ministro degli Esteri nelle decisioni di politica estera è zero, e Mohammad Khatami ha detto che il presidente è solo un custode. La polizia morale è sotto il controllo delle forze di sicurezza dello Stato e fuori dalla portata del governo. Con il 75% dell’economia controllata da varie fondazioni, che differenza fa avere un presidente cattivo o uno peggiore?”.
Nel frattempo, in risposta al diffuso boicottaggio elettorale, il regime è ricorso a misure drastiche per spingere i suoi sostenitori alle urne. L’Assemblea Consultiva Islamica (“parlamento”) e i seminari sono stati chiusi, mandando il clero e i deputati in una frenetica campagna elettorale. Il capo della commissione parlamentare per gli affari interni ha annunciato la chiusura del “parlamento” per tre settimane.