
Il 18 ottobre, un potente atto di sfida è entrato nel suo sesto giorno all’interno della famigerata prigione di Ghezel Hesar, dove oltre 1.500 detenuti nel braccio della morte dell’Unità 2 hanno proseguito il loro sciopero della fame di massa contro la crescente campagna di esecuzioni del regime iraniano. In una terrificante dimostrazione della loro determinazione, alcuni prigionieri si sono cuciti le labbra. Filmati contrabbandati mostrano i loro corpi emaciati e cartelli scritti a mano con un messaggio semplice e urgente: “No all’esecuzione.”
Questa protesta, che coinvolge la vita stessa dei detenuti, non è un appello alla clemenza ma una ferma richiesta di giustizia. I prigionieri hanno giurato di continuare lo sciopero fino a quando le loro condanne a morte non saranno annullate o commutate in pene detentive. La loro coraggiosa resistenza, dall’interno di uno dei principali centri di morte del regime, mette a nudo la brutale realtà della dittatura clericale e rappresenta un grido di mobilitazione per tutti coloro che difendono i diritti umani.
Un “ottobre di sangue” alimentato dalla paura
Lo sciopero della fame è scoppiato dopo che le autorità hanno trasferito almeno 16 prigionieri in isolamento in vista delle loro esecuzioni imminenti. Questa decisione è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso in un mese di spargimento di sangue senza precedenti. In una dichiarazione di solidarietà, i prigionieri politici di Ghezel Hesar hanno definito Mehr 1404 (dal 23 settembre al 22 ottobre) il “mese più sanguinoso” per i condannati a morte, con circa 200 esecuzioni già perpetrate dal regime.
October 18—Ghezel Hesar prison, Karaj, Iran
Sixth day of hunger strike by death-row prisoners, protesting the growing wave of executions in Iran. Despite deteriorating health conditions, prisoners continue their protest movement.#IranProtests pic.twitter.com/MEvWYYUwoi— People's Mojahedin Organization of Iran (PMOI/MEK) (@Mojahedineng) October 18, 2025
Questa cifra sconvolgente fa parte di una deliberata politica del terrore. Nella prima metà dell’anno persiano 1404 (marzo–settembre 2025), le esecuzioni sono aumentate del 250% rispetto al periodo precedente. Per la teocrazia al potere, il patibolo non è uno strumento di giustizia, ma un mezzo politico per reprimere una società sempre più irrequieta e proiettare forza in mezzo a crisi interne inasprite. Questa campagna di omicidi di Stato riecheggia in modo agghiacciante i capitoli più oscuri del regime, in particolare il massacro dei prigionieri politici del 1988, quando la morte divenne la legge non scritta del Paese.
La risposta del regime: minacce e muro di silenzio
Di fronte a questa resistenza organizzata, il regime ha reagito con la consueta brutalità. Le guardie carcerarie hanno minacciato, picchiato e tentato di isolare i detenuti in sciopero. In un’escalation inquietante, i funzionari hanno comunicato ai prigionieri che i loro casi non erano più gestiti dall’Organizzazione carceraria, ma trasferiti al potere giudiziario. La minaccia è stata esplicita: “I prigionieri portati in isolamento saranno giustiziati, e da domani inizieranno le esecuzioni del resto.”
October 18—Ghezel Hesar prison, Karaj, Iran
Death-row prisoners continue their hunger strike for the sixth day, hanging signs that read for an end to executions.#IranProtests #StopExecutionsInIran pic.twitter.com/rgjQdtHJnn— People's Mojahedin Organization of Iran (PMOI/MEK) (@Mojahedineng) October 19, 2025
Nel tentativo di impedire che il messaggio dei prigionieri raggiungesse il mondo esterno, le autorità hanno indebolito la connessione internet nell’area circostante la prigione di Ghezel Hesar e installato disturbatori di segnale per bloccare i telefoni cellulari. Tuttavia, questo muro di silenzio non ha spezzato lo spirito dei detenuti. In un atto straordinario di solidarietà, quando le guardie hanno cercato di rimuovere i prigionieri con le labbra cucite, gli altri scioperanti si sono uniti e hanno impedito la loro separazione. Hanno dichiarato che “resteranno saldi fino alla morte” e continueranno la protesta con forza.
Un appello al mondo dall’ombra del cappio
Mentre le condizioni fisiche di molti detenuti peggiorano, le loro voci si fanno sempre più urgenti. In una dichiarazione dei prigionieri politici che sostengono lo sciopero si legge un sentimento potente: “Ogni giorno vedevano gruppi di loro amici portati al macello… Ora protestano contro questa attesa della morte e chiedono al mondo di unirsi a loro.”
October 18—Ghezel Hesar prison, Karaj, Iran
On the sixth day of their hunger strike, death-row prisoners plead with the people to help send their message to the world and bring a halt to executions in Iran.#IranProtests #StopExecutionsInIran pic.twitter.com/w2jE2No2Yu— People's Mojahedin Organization of Iran (PMOI/MEK) (@Mojahedineng) October 19, 2025
Gli scioperanti stessi si sono rivolti direttamente al popolo iraniano e alle loro famiglie, implorandoli di protestare contro le “barbare esecuzioni” del regime. Il loro messaggio è chiaro: stanno lottando non solo per la propria vita, ma per l’anima di una nazione tenuta in ostaggio da una dittatura spietata.
Lo sciopero della fame di Ghezel Hesar traccia una linea netta nella sabbia. Da un lato ci sono oltre 1.500 prigionieri, armati soltanto dei loro principi e dei loro corpi fragili, che rivendicano il diritto fondamentale alla vita. Dall’altro lato c’è il regime clericale, responsabile di un’ondata orribile di uccisioni di Stato.
La comunità internazionale non può più permettersi di restare spettatrice. Le organizzazioni per i diritti umani, i governi del mondo e i media globali devono amplificare le voci provenienti da Ghezel Hesar. Devono condannare questa ondata di esecuzioni e ritenere il regime iraniano responsabile dei suoi crimini. Il silenzio di fronte a tanto coraggio e tanta crudeltà equivale a complicità. Il mondo deve agire prima che il regime metta a tacere per sempre queste voci coraggiose.
